Divina Commedia e Bhagavad Gita. In viaggio verso l’amore

Dante e Arjuna. L'immagine di copertina è stata realizzata dallo staff di crono.news utilizzando l'Intelligenza Artificiale (AI) dell'App. PHOTOLEAP scaricabile sulle piattaforme Android e iOS.

Divina Commedia e Bhagavad Gita. In viaggio verso l’amore. Incredibile il “dialogo” che intercorre tra queste straordinarie opere di filosofia perenne, a migliaia di anni e di chilometri di distanza.

Divina Commedia e Bhagavad Gita. Due straordinarie opere. La prima risalente al 1300 d.C.  e l’altra probabilmente al 10.o00 a.C circa, ma accomunate da numerosi aspetti. Uno su tutti: il percorso terreno verso il divino, l’evoluzione dei due protagonisti, Arjuna e Dante, in direzione dell’amore. Ciò grazie alla saggezza ed al supporto di due straordinarie guide: Krishna nella Bhagavad Gita e Virgilio nella Divina Commedia.

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Incredibile il “dialogo” che intercorre tra queste straordinarie opere di filosofia perenne, a migliaia di anni e di chilometri di distanza. I due grandi protagonisti Dante ed Arjuna, sono due grandi personalità, uno Priore della ricchissima città di Firenze, l’altro un importante principe guerriero dei Pandava. I Pandava sono i cinque figli di Pandu, un re della dinastia Kuru. Yudhishtra, Bheema e Arjuna nacquero da Kunti, la sua prima moglie. I gemelli Nakula e Sahadeva nacquero dalla seconda moglie Madri.

L’espressione filosofia perenne fu coniata per la prima volta dall’umanista rinascimentale Agostino Steuco nel 1540. Si riferiva all’idea che esiste un nucleo di saggezza condivisa in tutte le religioni e al tentativo della scuola neoplatonica di Marsilio Ficino di sintetizzare tale saggezza in un’unica filosofia transculturale. Questa filosofia, scrive Huxley, “è immemorabile e universale. Rudimenti della filosofia perenne possono essere trovati tra le tradizioni dei popoli primitivi in ogni regione del mondo, e nelle sue forme pienamente sviluppate ha un posto in ognuna delle religioni superiori”. Come sostiene Huxley, i sostenitori del teismo classico nella filosofia platonica, cristiana, musulmana, indù ed ebraica concordano su tre punti principali: Dio è l’Essere eterno incondizionato, la nostra coscienza è un riflesso o una scintilla di Dio, e possiamo trovare la nostra fioritura o beatitudine nella realizzazione di essa.

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Divina Commedia e Bhagavad Gita. Dante ed Arjuna ricevono insegnamenti da sperimentare praticamente attraverso l’amore. Essi scopriranno che tutto è mosso dall’amore e che esso ci salverà sempre anche nei momenti più bui delle nostre vite. L’amore vincerà sempre sull’oscurità. In ciascuno, nel corso dei rispettivi viaggi interiori, vengono instillati i concetti di giustizia, di pace, di libertà, di dharma, del compiere il proprio dovere a beneficio di tutti. Dante ed Arjuna in preda allo sgomento, si preparano ad una guerra, lottano per emergere dal buio della coscienza ed entrare nella luce.

Leggere la Divina Commedia e la Bhagavad Gita è un viaggio incredibile verso la liberazione che ci aiuta a comprendere che lo scopo di questa vita è rendere divino il nostro percorso di vita terreno, è amare gli altri come amiamo noi stessi.  Ciò come una pratica di vita giornaliera, non intesa come sentimentalismo o atteggiamento stucchevole. Si tratta invece di una modalità seria, rigorosa e contemperante di tutte le leggi della natura. Questa pratica costante della virtù è agire in spirito di devozione e di offerta, ci consente di fare il maggior bene per noi stessi e per gli altri allo stesso tempo. E’ necessario combattere la guerra dell’ignoranza, con l’energia della devozione, dell’intelletto, delle nostre azioni, in offerta a Dio, per promuovere il benessere di tutti.

Divina Commedia e Bhagavad Gita. Quando siamo senza punto di riferimento interiore, perdiamo l’autonomia, la capacità di pensiero, la capacità di riflettere, perdiamo “il ben dell’intelletto” direbbe Dante. Ed ecco che si ha bisogno di ritrovarsi profondamente, tornando in contatto con la nostra anima, riprendendone la sua filosofia e la sua prassi a beneficio di tutti. Dante e Arjuna affrontano in una grande crisi interiore, un profondo buio interiore che li ha aiuta però a “ritrovare” sè stessi, in un immenso risveglio spirituale.

Punto fondamentale a conclusione di questa riflessione, è che la Divina Commedia è una storia meravigliosa opera di finzione, mentre la Bhagavad Gita è storia, un evento che ha avuto realmente luogo. Si tratta di una distinzione importante, perché molte volte, nel tentativo di trovare la saggezza perenne e l’uniformità nei pensieri religiosi o filosofici, dimentichiamo la natura degli oggetti del nostro confronto. La differenza può non essere importante per alcuni, ma per altri è una questione di realtà e non realtà. Consigliamo l’approfondimento del concetto di Itihasa secondo gli Indù.

 

Nel 33° canto del Paradiso, Dante scrive:

“Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch’i’ vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. “

Traduzione in prosa a cura di di Michele Diomede:

Io vidi in quello splendore indescrivibile che tutto si legava assieme; tutto ciò che nell’universo appare variegato e disperso: le Sostanze (sostanziali fondamenti delle cose), gli Accidenti (modi e aspetti non necessari e comunque variabili delle Sostanze) e il loro costume, (il rapporto esistente tra i due). E di quella immensa quanto intima unitá posso riferire ben poco mediante le parole limitate, davvero insufficienti di cui dispongo. Ribadisco però di aver veduto il principio formativo, ovvero il nodo, l’essenza generale di ciò che fa essere l’universo quello che. É. È solo nel dire questo, anche se impossibilitato a rendere compiuta descrizione, io mi sento sommergere dalla Beatitudine.”

Bhagavad Gita commentata da Swami Parthasarathy.

Capitolo 11: Lo yoga della visione della forma cosmica.

13. Lì, nel corpo del Dio degli dèi, Pāṇḍava vide il mondo intero con le sue molteplici divisioni che riposavano in una sola. 

14. Allora lui, Dhanañjaya, colpito dalla meraviglia, inorridendo, chinando il capo verso il Dio, parlò a palmi uniti. Arjuna disse:

15. O Dio, vedo nel Tuo corpo tutti gli dèi e le schiere di vari esseri, Brahmā, il Signore seduto sul seggio di loto e tutti i saggi e i serpenti divini.

16. Ti vedo ovunque in forma infinita con molteplici braccia, ventri, bocche e occhi; non vedo né la tua fine né il tuo mezzo e neppure il tuo inizio, o Signore dell’universo, o Forma universale.

17. Ti vedo con il diadema, la mazza e il disco, una massa di splendore che brilla ovunque, difficile da guardare, che brilla tutt’intorno come il fuoco e il sole glorioso, incommensurabile.

45. Avendo visto ciò che prima non si vedeva, mi rallegro, ma la mia mente è angosciata dalla paura. Mostrami, o Dio, solo quella forma, abbi pietà o Dio degli dei, o Dimora dell’universo.

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