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Questo non è un attacco di panico: ma una pipa che non è una pipa

L'illusione della tempesta e della calma.

Questo non è un attacco di panico: ma una pipa che non è una pipa. L’illusione della tempesta e della calma.

Avete presente Magritte? Il pittore René Magritte? Quello dell’ombrello che non è un ombrello e della pipa che non è una pipa. “Ceci n’est pas un parapluie”, “Ceci n’est pas une pipe”. Gioca con la realtà, il belga. Ti fa vedere una cosa e ti dice che non è quella cosa.

René Magritte, Ceci n’est pas une pipe (1929).

E ha ragione, perché quello che vedi è solo una rappresentazione. Come quando guardi una foto della persona che ami e la baci – stai baciando della carta, non la persona. Lo guardo appeso alla parete della mia esistenza, incorniciato con cura dalla mente: il mio attacco di panico, come un’opera di Magritte.

Sotto, una didascalia invisibile recita: “Questo non è un attacco di panico”. Il cuore che martella, il respiro che scappa, la vertigine che confonde la realtà.Osservo questi fenomeni come fossero pennellate su una tela, rappresentazioni che scambio per realtà. Ma non posso soffocare a causa dell’immagine di un soffocamento. E poi, la cosiddetta “calma” che segue. Questo sollievo che mi invade, questa sensazione di averla scampata. Mi aggrappo ad essa come a una zattera, convinto di aver trovato terra ferma. Ma anche questa è solo un’altra tela nella stessa galleria dell’illusione. La tranquillità dopo la tempesta: un altro inganno dei sensi, un altro quadro firmato Maya. Respiro profondamente e penso: “Ecco, ora sto bene”.

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Ma cos’è questo “bene” se non l’assenza temporanea di “male”? Dualità dipinte con lo stesso pennello dell’attaccamento. Il benessere è forse la più seducente delle illusioni. Mi fa credere che esista uno stato da perseguire, una condizione da mantenere. Ma è come tentare di afferrare l’immagine di un’onda: nel momento stesso in cui penso di averla catturata, è già diventata qualcos’altro.

Panico, calma, benessere, sofferenza: quadri intercambiabili appesi alle pareti di un museo che non esiste veramente. L’unica differenza è che alcuni li definisco “belli” e altri “brutti”, ma entrambi sono dipinti con i pigmenti dell’attaccamento sensoriale. Quando l’attacco di panico svanisce e sospiro di sollievo, sto semplicemente passando da una stanza all’altra della stessa galleria di illusioni. Cambiano i quadri, ma non la natura fittizia dell’esposizione.

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Questo non è un attacco di panico, e quella che segue non è vera pace. Sono solo diverse densità dello stesso velo, increspature diverse sulla stessa superficie dell’oceano di Maya. L’errore sta nel credere che una sia più reale dell’altra, che una meriti più attaccamento dell’altra. Il vero risveglio non è passare dal panico alla calma, ma comprendere che entrambi sono visitatori temporanei in un museo di cui non siamo né i quadri né gli spettatori, ma lo spazio silenzioso in cui tutto questo avviene.

Ceci n’est pas une réalité.

Mmh… sì… aspettate… ecco… A pensarci, questo potrebbe essere un titolo alternativo per quell’opera di Magritte, La Décalcomanie, sì, proprio quella delle tende rosse sul cielo azzurro, le nuvole, quello strano teatro della mente che forse dice meglio di quanto io abbia tentato di dire finora, più chiaro di tutte queste parole che si rincorrono, si nascondono, tornano, come nuvole, come pensieri, come panico che non è panico che non è realtà che non è…

René Magritte, La Décalcomanie (1966).

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