Un antico mantra napoletano: racconto di Sara Rocco, scrittrice Campana. I suoi racconti sono pregni di poesia e attaccamento al territorio.
Mantra napoletano: Sara Rocco, è una talentuosissima scrittrice Campana, che abbiamo scoperto per caso su Facebook. Cliccate quì per accedere alla sua pagina. I suoi racconti sono pregni di poesia, trasudano attaccamento al territorio, alla propria identità culturale, alla propria famiglia. Nei giorni scorsi vi abbiamo proposto svariati articoli dediti alla meditazione, alla musica kirtan ed ai mantra. Un mantra è una sillaba, una parola o una frase che viene ripetuta durante la meditazione o una preghiera. I mantra possono essere pronunciati, cantati, sussurrati o ripetuti nella mente.
Mantra napoletano: La maggior parte delle tecniche di meditazione dei mantra hanno due componenti essenziali: la meditazione della consapevolezza e la recitazione o il canto dei mantra. Mentre questa pratica secolare è nota per avere radici buddiste e indù, esistono forme di recitazione della “parola sacra” all’interno di una grande varietà di tradizioni spirituali, tra cui quella giudeo-cristiana e sciamanica. Al giorno d’oggi, la pratica dei mantra sta guadagnando popolarità anche come parte della pratica non secolare della consapevolezza. Il racconto che vi proponiamo di seguito, di Sara Rocco, ha proprio a che fare con un particolare mantra. Nell’attesa di conoscere di più di questa bravissima scrittrice, vi auguriamo di gustare al meglio questo splendido scritto. Buona lettura!
Un antico mantra napoletano.
Quando mia madre era piccola, viveva in un vasto di Portici. Per chi non è napoletano non è facile immaginare questo tipo di costruzioni antiche: si trattava di un agglomerato di abitazioni a forma circolare, un microcosmo chiuso da un cancello ed unito da un gigantesco cortile. Un piccolo quartiere tondeggiante, intimo e protetto. Nello spazio comune, gli inquilini condividevano stagioni, storie, figli e problemi su sedie impagliate e panchine di mattoni. C’era sul fianco del cancello, una Madonnina velata d’azzurro regalata dal parroco alla comunità a monito e protezione per chi passava, quando doveva affrontare il mondo esterno: “Una preghierina prima di uscire, che vi costa?” era stato il suo educatissimo imperativo che tutta la gente si era affrettata a seguire.
Altri tempi. Ora, c’era un uomo, timido, mingherlino, schivo, di quelli che si conoscono poco, che ogni mattina passava un’ora a parlare con la statua, prima di andare a lavorare. Le donne del vasto, incuriosite, vedendolo chino nella sua lisa giacca a quadretti, avevano aguzzato le orecchie per capire cosa dicesse ma, niente, proprio non ci riuscivano. Eppure le sue erano accorate preghiere, lunghissime! Si sparse la voce di questo grande timorato di Dio e delle sue splendide orazioni alla Madonna, tanto che alla fine fu invitato il prete a dialogare con lui sugli alti quesiti teologici e dogmatici.
Alla presenza della corporazione porticese, il parroco quella mattina esordì: “Caro fedele, i tuoi fratelli vorrebbero sapere quali sono i contenuti religiosi del tuo pur devotissimo fervore.“Alché, con uno sguardo smarrito che mia madre ricorda ancora oggi, l’uomo, in un dialetto stentato, rispose: “Padre, io faccio il muratore. Mi piaceva questa Madonnina, mi sembrava che mi chiamasse. Però non so parlare, non mi so esprimere e non mi ricordo neanche una preghiera. Allora, mi è venuta un’idea: io dico “Cuofano saglie e cuofano scenne“ tutto il tempo.” “E che vuol dire, figliolo?” “Eeeeeh, questa è l’unica cosa che so dire perché è quello che grido agli altri quando riempio il secchio di cemento e loro lo tirano su. Grido di nuovo e loro lo tirano giù. Ho fatto male, Padre? La Madonna si arrabbia?” Allora al parroco vennero le lacrime, lo abbracciò forte e gli disse ” No, figlio mio, hai fatto benissimo. La Madonna comprende tutte le lingue, ma ama più di tutti, i cuori semplici e gentili.”
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