Koan Zen e Gatto di Schrödinger: due vie oltre la logica. Scuotere le fondamenta delle nostre categorie mentali.
I paradossi mi hanno sempre affascinato, come credo abbiano fatto con molti altri, perché infrangono le abitudini della logica ordinaria e spalancano la porta a comprensioni più profonde. Nel corso della storia, dalle antiche tradizioni spirituali come lo Zen fino alle frontiere della fisica moderna, incontriamo situazioni che scuotono le fondamenta delle nostre categorie mentali. I due “gatti”, ormai quasi archetipici nonostante siano nati in contesti così diversi, quello disputato nel famoso koan di Nansen e quello immaginato da Schrödinger, ci invitano ad avventurarci in questi territori estremi dove il pensiero si rinnova ogni volta che sembra raggiungere un’impasse.
Il Koan Originale: Nansen Taglia il Gatto (Mumonkan, Caso 14)
La narrazione classica di questo koan continua a disturbare chiunque vi si avvicini.
“Un giorno, i monaci della sala orientale e quelli della sala occidentale del monastero di Nansen stavano discutendo sul possesso di un gatto. Vedendo la disputa, il Maestro Nansen afferrò il gatto e disse ai monaci: ‘Se qualcuno di voi può dire una parola di Zen, una parola che trascenda il dualismo, risparmierò il gatto. Altrimenti, lo ucciderò.’ Nessuno seppe rispondere. Così Nansen tagliò il gatto in due. Più tardi quella sera, Joshu, il suo discepolo preferito, fece ritorno. Il Maestro gli raccontò cosa era accaduto. Joshu, senza dire una parola, si tolse i sandali, li mise sulla testa e uscì dalla stanza. Nansen allora disse: ‘Oh, se tu fossi stato qui, il gatto sarebbe stato salvato!'”
Questo koan, uno dei più radicali e scioccanti nella tradizione Zen, è presentato nel Mumonkan, una raccolta di antichi koan zen risalenti al tredicesimo secolo. Prima del commento di Mumon, che sfida i suoi discepoli a cogliere il significato del gesto di Joshu, Mumon era un maestro Zen del XIII secolo e autore del Mumonkan, una raccolta di koan che è uno dei testi centrali dello Zen, sento scendere un insegnamento inaspettato. Come spiega Teisho nel suo commento su Mumon: “Dimmi: qual è il vero significato di Joshu che mette i sandali sulla testa? Se puoi pronunciare le parole della trasformazione, capirai che l’azione di Nansen non è stata vana.” Non si tratta più di idee, ma di tagliare via ogni attaccamento e ogni certezza, anche quelle buddiste. Taglia, taglia, taglia, invita il commento, in modo che non solo il gatto rimanga, ma tutte le idee e le dottrine che cercherebbero di afferrare la realtà si dissolvano. “Taglia, taglia, taglia! Taglia via tutto! Quando avrai tagliato via non solo il gatto, ma tutte le idee buddiste e i concetti del Dharma, senza lasciare alcuna traccia, questa libertà creativa sarà tua.” Solo dopo questa “Grande Morte” di tutte le concezioni si apre il miracolo della trasformazione, dove il gatto, anche se morto, può tornare ad essere rosso come un fiore e fluire blu come un ruscello. “Allora il gatto morto diventerà rosso come un fiore e scorrerà blu come un ruscello, sempre vivo, non solo con il Maestro Joshu, ma anche oggi nella tua mano e nel tuo piede.” In questo spazio di presenza, vita e morte cessano di essere opposti assoluti.
Questo paragrafo in particolare è il risultato di una lettura attenta dell’analisi del koan di Nansen nel libro “Mumonkan La Porta Senza Porta” di Zenkei Shibayama – Astrolabio Ubaldini Editore – 1977.
Il Gatto di Schrödinger Entra in Scena
Nel 1935, Erwin Schrödinger propose un esperimento mentale che ancora oggi inquieta chi studia fisica. Immagina di mettere un gatto in una scatola insieme a un dispositivo mortale: se un atomo radioattivo si disintegra entro un’ora, un rilevatore di radiazioni lo registra e attiva un meccanismo che rompe una fiala di veleno, uccidendo il gatto. Se l’atomo rimane intatto, il gatto resta vivo. Secondo la meccanica quantistica, finché nessuno apre la scatola per verificare cosa sia successo, l’atomo è simultaneamente in due stati: disintegrato e non disintegrato, in termini tecnici, decaduto e non decaduto. Di conseguenza, anche il gatto esiste in una condizione paradossale: è contemporaneamente vivo e morto. Solo quando qualcuno apre la scatola e osserva, questa sovrapposizione di stati si risolve in una delle due possibilità.
Intersezioni e Divergenze: Oltre il Pensiero Binario
Mi ritrovo naturalmente a confrontare queste storie. Sia il koan di Nansen che il paradosso di Schrödinger sfidano la logica che ci costringe a scegliere tra un polo e l’altro, “A o non A”, vita o morte. Nel koan, la discussione sembra riguardare solo il possesso, o la ragione, ma l’azione di Nansen e la risposta imprevedibile di Joshu spostano il punto: qui, c’è un salto oltre ogni dualità, una radicale trasformazione della percezione. Nel paradosso della fisica quantistica, invece, ci troviamo di fronte a qualcosa che costringe la ragione a contemplare l’idea che una creatura sia viva e morta allo stesso tempo, almeno fino a quando non guardiamo nella scatola. Le somiglianze sono profonde, ma le differenze sono ancora più profonde. Il paradosso di Schrödinger è nato come una provocazione teorica, un problema reale al cuore della scienza moderna, dove l’indeterminatezza deve essere risolta, osservata e conclusa. Il koan di Nansen, invece, è nato come uno shock progettato per tagliare i legami del pensiero comune, per immergere il praticante in una presenza vivente che fa a meno di qualsiasi risposta razionale.
Sospensione della Certezza: Sovrapposizione e Presenza
Proprio qui, tra queste due prospettive, sento una possibile risonanza. Nella fisica, la funzione d’onda rappresenta l’aspettativa di tutte le possibilità, che si risolve solo quando interviene l’osservazione. Ma al cuore del koan, il vero punto di svolta non è tanto una soluzione o la scelta tra vivo e morto, ma una presenza capace di dimorare senza paura nel mistero. È una sospensione della certezza, la stessa apertura che si verifica quando accetto di rimanere senza risposte e faccio spazio a ciò che accade in modo irripetibile. Credo che, sia nella fisica che nello Zen, solo questa sospensione della necessità di definire possa permetterci di toccare veramente il reale.
Proprio qui, tra queste due prospettive, emerge forse una risonanza sorprendente. Nella fisica, la descrizione quantistica dello stato di un sistema (la funzione d’onda) prima della misurazione non è una realtà definita, ma rappresenta la gamma di potenzialità misurabili. Il famoso “collasso della funzione d’onda”, che avviene con l’osservazione, costringe gli scienziati a interrogarsi sulla natura stessa della “realtà” pre-osservazione e sul ruolo attivo e problematico dell’osservatore nel definirla. Questo non conduce direttamente all’esperienza Zen, ma evidenzia come la frontiera della fisica incontri un limite concettuale: una “sospensione” della determinatezza fino all’atto della misurazione. È in questa sospensione imposta dalla fisica stessa, in questo attendere dove la realtà sembra non “scegliere” fino a quando non viene interrogata, che forse possiamo vedere un’eco lontana della radicale apertura richiesta dallo Zen, dove il vero punto di svolta non è trovare una risposta definitiva, ma acquisire la capacità di dimorare nell’assenza di definizioni dualistiche. Credo che sia la meccanica quantistica (costringendoci a riconsiderare la causalità classica e l’oggettività separata) sia l’approccio Zen (decostruendo l’attaccamento alle categorie mentali) ci invitino, seppur con linguaggi e scopi diversi, a riconoscere che forse la realtà si manifesta pienamente proprio nell’interazione creativa tra soggetto e fenomeno, un atto irripetibile non riducibile a un semplice “rispecchiamento” di leggi esterne.
Immaginare Schrödinger che si mette i sandali sulla testa rimane una boutade, ma forse il vero gesto “alla Joshu” nella scienza è proprio quello di continuare la ricerca accettando che le risposte trovate generino sempre nuove domande più profonde, ammettendo che il mistero che indaghiamo possa sempre eccedere gli strumenti concettuali e sperimentali a nostra disposizione, e trovando in questo la vera libertà della conoscenza.
Due Gatti, Due Vie Oltre la Logica
Alla fine, sia il gatto del monastero che quello nella scatola ci invitano a rivedere profondamente le nostre certezze logiche. Il gatto di Schrödinger ci insegna a confrontarci con la complessità, l’incertezza che la scienza stessa incontra nel descrivere la realtà ai suoi estremi. Il gatto di Nansen, invece, ci getta senza mediazione nella libertà creativa che nasce dalla “Grande Morte” di ogni attaccamento, dove nulla ha bisogno di essere salvato perché tutto può rinascere in ogni gesto autentico. Quindi sì, metaforicamente, il gatto è sempre vivo, non solo nel passato di Joshu ma in ogni momento in cui lasciamo cadere le vecchie abitudini e accediamo a una realtà che si rinnova nell’istante, rossa come un fiore, blu come un ruscello, senza più confini tra vita e morte. E forse, nel loro nucleo, entrambi i gatti sussurrano lo stesso mistero: la realtà ultima è sempre più ampia del pensiero che tenta di definirla, sia negli enigmi sollevati dalle equazioni della fisica quantistica, nel gesto silenzioso che attraversa il koan, o nel battito improvviso della vita che continua, qui, ora.
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