L’Ispettore Generale al Teatro Bellini: Rocco Papaleo porta Gogol a Napoli. Quando la commedia degli equivoci diventa spietata critica del potere.
L’Ispettore Generale al Teatro Bellini. Ho avuto il privilegio di assistere ieri sera alla prima de “L’ispettore generale” di Nikolaj V. Gogol, al Teatro Bellini, con Rocco Papaleo nel ruolo del protagonista. Dalla mia settima fila, posizione rivelatasi strategica per apprezzare ogni minima sfumatura scenica e la sua magistrale interpretazione, mi sono ritrovato catapultato nelle gelide terre della Russia zarista. La regia di Leo Muscato, attenta e minuziosa, ha tessuto attorno alla performance di Papaleo una trama di emozioni che ha rapito la platea dal primo all’ultimo respiro, creando un’atmosfera densa di attesa e meraviglia.
Le luci di Verazzi hanno dipinto una poesia visiva di rara bellezza: cristalline e taglienti come la neve della steppa, così vivide da farmi stringere istintivamente il cappotto, per poi dissolversi in toni caldi che hanno accarezzato gli interni, dove le famiglie cercavano riparo dal gelo mordente. I costumi della Baldoni – quelle pellicce sontuose, quei cappotti pesanti rifiniti nei minimi dettagli, quegli abiti d’epoca perfettamente calibrati – mi hanno trasportato in quel mondo lontano. Ogni piega dei tessuti nascondeva una storia, ogni bottone, ogni ricamo sussurrava segreti di un’epoca perduta, creando un’autenticità così convincente da farmi dimenticare completamente la quarta parete.
Palcoscenico girevole
La genialità di Belli esplode nella scenografia: le casette disposte come sentinelle ai lati del palco creano una prospettiva quasi cinematografica, mentre il palcoscenico girevole genera una magia scenica che non smette mai di sorprendere. Il dinamismo degli ambienti che si susseguono, accompagnato da un sapiente gioco di luci e ombre, mi ha reso voyeur privilegiato di quella piccola città di provincia, testimone silenzioso di meschinità e debolezze troppo umane, troppo attuali.
Il parallelo con “Chi si ferma è perduto” di Totò è stato inevitabile e illuminante. L’equivoco dell’ispettore scambiato riecheggia in quella deliziosa commedia del ’60, dove il principe della risata e Peppino si trovano invischiati in un qui pro quo con due ispettori: uno dei trasporti e uno scolastico. La scena della finta aggressione sul treno orchestrata da Totò-Guardalavecchia rispecchia perfettamente i goffi tentativi dei notabili gogoliani di ingraziarsi il loro falso ispettore. È la stessa fame di potere, la stessa meschina ambizione, lo stesso spietato specchio delle nostre miserie sociali, che attraversa i secoli senza perdere un grammo della sua verità.

L’ensemble, guidato da un Papaleo in stato di grazia assoluta, ha tessuto una trama perfetta di gesti e parole, dove ogni respiro sembrava calibrato al millisecondo. Ogni attore – dalla magnetica Aimone all’intenso Baraldi, dalla vibrante Bravi all’energico Brinzi, fino a tutti gli altri componenti di questo cast eccezionale – ha dato vita a un meccanismo teatrale dove ogni ingranaggio girava alla perfezione. Le musiche di Chenna, ora sussurrate ora possenti, hanno pulsato come un cuore vivo attraverso lo spettacolo, creando melodie che sapevano di neve e vodka, di intrighi e risate amare, di speranze tradite e ambizioni smodate.
Esperienza immersiva
L’ottima acustica del Teatro Bellini ha amplificato ogni sfumatura sonora, avvolgendo la sala in un abbraccio acustico perfetto che ha reso giustizia a ogni sussurro, ogni nota, ogni risata. Un’esperienza immersiva che ha trasformato il teatro in una cassa di risonanza emotiva, qualcosa che ho raramente trovato in altri teatri napoletani, dove spesso l’acustica tradisce le intenzioni.

Questa produzione dei Teatri Stabili di Bolzano, Torino e del TSV ha compiuto il miracolo di rendere vivo e pulsante un classico senza tradirne l’essenza profonda. Dal 1836, quando Gogol mise in scena per la prima volta la sua feroce critica alla Russia zarista, passando per il 1960 di Totò che ne catturò inconsapevolmente l’eredità nella sua commedia all’italiana, fino ad arrivare ai nostri giorni, il messaggio resta invariato nella sua potenza. Sono uscito dal teatro con la certezza che certi temi attraversano quasi due secoli senza invecchiare di un giorno: la corruzione, l’ipocrisia, la fame di potere – gli stessi demoni che facevano ridere e riflettere il pubblico della Russia imperiale, che poi hanno fatto sbellicare dalle risate l’Italia del boom economico con Totò, danzano ancora oggi sui nostri palcoscenici, più attuali e taglienti che mai. La natura umana non cambia, e forse è proprio questo il segreto dell’eternità di certi capolavori: la capacità di mostrarci, attraverso il riso e la satira, quanto poco siamo cambiati in fondo, dai salotti della Russia zarista alle anticamere del potere contemporaneo.
Il finale è stato pura magia alchemica: la compagnia al completo, guidata da un raggiante Papaleo, ha marciato attraverso il teatro al ritmo degli applausi scroscianti, in una sfilata allegramente “marziale” che ha coinvolto tutto il pubblico in un momento di comunione perfetta tra palco e platea. Il sigillo ideale per novanta minuti di teatro nel suo splendore più puro, un’esperienza che ha saputo farci ridere, riflettere e sognare in egual misura, lasciandoci con la sensazione di aver assistito a qualcosa di veramente speciale.