Ritiro delle Oblate di San Raffaele: Nel cuore di Materdei, Napoli. Dalle strade alla salvezza: La nascita del Ritiro nel 1734.
Ritiro delle Oblate di San Raffaele. Nel vicolo che oggi si chiama Porteria San Raffaele, tra le curve dell’attuale Salvator Rosa (un tempo Salita dell’Infrascata – nome derivato forse dalla famiglia romana de’ Infrascato o dagli alberi che fiancheggiavano la strada aperta nel 1556) e il dedalo di strade che sale verso Materdei, si erge un complesso monumentale che racconta una storia napoletana di cadute e rinascite. Era il 1734 quando alcune “malemaritate” – termine settecentesco che indicava sia le prostitute che le donne di malaffare – furono toccate dalla grazia divina durante le prediche dei missionari nella chiesa di Sant’Agostino degli Scalzi, detta anche Santa Maria della Verità, costruita agli inizi del ‘600 dall’architetto Giovan Giacomo Di Conforto al posto dell’antica chiesetta di Santa Maria dell’Olivo.
Con le offerte raccolte dai missionari, venne acquistata una prima casa proprio sulla Salita dell’Infrascata, dove per circa vent’anni queste donne vissero in penitenza. La casa fu posta sotto la protezione di Santa Margherita da Cortona (1247-1297), canonizzata nel 1728, che aveva una storia sorprendentemente simile: rimasta orfana di madre e maltrattata dalla matrigna, era fuggita giovanissima con un nobile diventandone l’amante. Dopo anni di concubinato e un figlio, il suo amato fu ucciso e fu il fedele cane di lui a guidarla al cadavere. Rifiutata da tutti, iniziò un cammino di conversione sotto la guida dei Frati Minori di Cortona – una storia che rispecchiava perfettamente il percorso di redenzione delle ospiti del Ritiro.
Materdei
Il numero delle pentite aumentò tanto che l’Arcivescovo di Napoli, il Cardinale Antonino Sersale (1754-1775), durante la Santa Visita del 1754, notò che il luogo era troppo angusto. Con il suo contributo personale e altre offerte della nobiltà napoletana, fu acquistato un ampio edificio che occupava buona parte di un’insula della platea di Fonseca (nell’odierno Rione del Quartiere Materdei), con un vasto giardino dove l’architetto Giuseppe Astarita, che abitava nelle case dell’antico monastero agostiniano, progettò dal 1759 una chiesa che è un piccolo capolavoro: la facciata concava crea un sapiente gioco chiaroscurale, mentre l’interno, con la sua pianta a croce greca e la cupola priva di tamburo illuminata dal lanternino, è un trionfo di marmi policromi e angeli che reggono corone dorate.
Sugli altari laterali furono poste due tele della scuola di Giuseppe Bonito, pittore celebre per le sue scene di vita popolare napoletana, raffiguranti la Vergine Addolorata con la Maddalena e Santa Margherita in estasi. Sull’altare maggiore campeggiava un dipinto dell’Arcangelo Raffaele circondato dalle Oblate in preghiera, oggi conservato nel salone adiacente alla chiesa.
Le “pentite” che scelsero la vita religiosa divennero le Oblate di San Raffaele, mantenendosi con raffinati lavori di cucito e ricamo. I confratelli questuanti, istituiti con Regio Decreto di Ferdinando I nel 1798, giravano per i vicoli con preziose cassettine d’argento sbalzato che raffiguravano la storia biblica di Tobia e l’Arcangelo Raffaele – non a caso scelto come protettore, essendo il santo che guidò il giovane Tobia a trovare la sposa perfetta e guarì suo padre dalla cecità.
1799
Nel 1799, durante la Rivoluzione Partenopea, la comunità contava già 35 religiose, cresciute fino a 63 Oblate e 61 educande nel 1861. Il complesso divenne un vero centro di carità e cultura: i canonici Michele Lignola e Marco Celentano, insieme al Presidente della Regia Camera Pietro Lignola, vi istituirono scuole per fanciulle “pericolanti” e un asilo per i bambini del popolo.
Il ‘900 vide il Ritiro diventare il cuore pulsante del quartiere sotto la guida di don Giovanni Pinto, che tutti chiamavano “‘o rre ‘e Materdei”. Qui si celebravano matrimoni, si educavano bambini nell’asilo gestito da Maria Stellato, si distribuivano aiuti ai poveri del rione. Si formò persino una piccola comunità di giovani donne consacrate che emettevano voti privati rinnovabili annualmente, dedicandosi all’educazione e alla carità.
Ma gli ultimi decenni hanno portato ferite profonde: tra il 1977 e il 1987, una serie di furti ha spogliato la chiesa dei suoi tesori secolari. Sono sparite le antiche campane in lega d’argento del ‘700, i preziosi reliquiari dell’oreficeria napoletana, persino la statua lignea di Tobia col suo cane fedele. Il terremoto dell’80 ha danneggiato il campanile a vela, che è stato abbattuto, anche se l’edificio principale ha resistito grazie ai massicci restauri del 1958, che inclusero interventi alle fondamenta e il consolidamento dei muri portanti.
Nessuna catena
Sotto la chiesa si nasconde un altro tesoro: un ipogeo grande quanto l’edificio superiore, dove dal 1759 al 1823 furono sepolte le Oblate e le ospiti del Ritiro. I resti furono poi raccolti in un ossario profondo oltre quaranta metri, collegato alle antiche cave di tufo che si estendono sotto il quartiere.
Ritiro delle Oblate di San Raffaele. Oggi il complesso attende un destino migliore, mentre la chiesa è affidata alla vicina parrocchia di Santa Maria Materdei. Eppure, tra quelle pietre secolari sopravvive la memoria di centinaia di donne che, come cantava Bob Marley in Redemption Song, hanno dovuto “emanciparsi dalla schiavitù mentale” per ritrovare se stesse. È una storia di redenzione tutta napoletana, dove il sacro e il profano danzano insieme nei vicoli, e dove anche le anime più disperate hanno trovato la forza di cantare il loro personale inno di liberazione. Come le note di quella canzone che ancora risuonano in tutto il mondo, così il messaggio del Ritiro di San Raffaele continua a parlarci: nessuna catena – fisica o spirituale – è troppo pesante da non poter essere spezzata, quando si trova la strada verso la propria dignità.