Il Baccalà fritto, diffusosi a Napoli nel Cinquecento, come cibo dei poveri è diventato oggi un piatto natalizio

Il Baccalà fritto, diffusosi a Napoli nel Cinquecento, come cibo dei poveri è diventato oggi un piatto natalizio. In Italia fece la sua prima apparizione durante l’epoca delle Repubbliche Marinare, in virtù delle relazioni dei nostri mercanti con i mercati del nord.

Il baccalà fritto, a Napoli, è una pietanza molto apprezzata, che prese piede nel sedicesimo secolo, in primis come cibo dei poveri, mentre invece oggi è diventato un piatto regale che  si usa gustare a Natale e capodanno. Per la cronaca, nella nostra penisola, fece la sua prima apparizione nell’era delle Repubbliche Marinare, in virtù degli scambi commerciali tra i nostri mercanti e quelli del nord. Il Baccalà, del resto, si può apprezzare non soltanto fritto, ma anche all’insalata, con il pomodorino, oppure con le patate ed in pastella. Insomma nel capoluogo partenopeo non manca certo la fantasia per preparare questo saporitissimo piatto in tante varianti. Pur essendo una pietanza, come anticipato, tradizionalmente, natalizia, le massaie napoletano la preparano tutto l’anno, perchè ingolosisce non poco, tutti, grandi e piccini.

Il Baccala fritto, diffusosi a Napoli nel Cinquecento, come cibo dei poveri è diventato oggi un piatto natalizio

Malgrado Napoli sia una città di mare dove il pesce fresco resta l’alimento più apprezzato e gustato sia in casa che al ristorante il baccalà che solitamente viene conservato e degustato anche dopo qualche giorno, rappresenta un’ottima pietanza sempre amata dal popolo partenopeo. Abbiamo notizie che il baccalà approdò nel nostro paese nel sedicesimo secolo, durante l’epopea delle Republiche Marinare, grazie alle relazioni dei nostri mercanti con i mercati del nord. Infatti, il merluzzo, trasformato in baccalà dai pescatori sui battelli, è pescato in particolare nell’Oceano Atlantico settentrionale e ciò era possibile in virtù del fatto questo pesce non va a male facilmente. Allorché si diffuse anche nella città del Vesuvio, venne ritenuto essenzialmente un piatto destinato ai meno abbienti.

A quell’epoca, il baccalà, assieme allo stoccafisso da cui si differenzia non solo per il processo di lavorazione,  se ne consumava davvero tanto. Non solamente a causa del suo costo abbastanza  contenuto, ma anche perché, nel periodo della Controriforma, la Chiesa aveva vietato il consumo di carne nei giorni comandati, provocando così un incremento della richiesta di pesce. Pertanto  i soli prodotti ittici locali non riuscivano a soddisfare la domanda.. Così si iniziò ad importare grosse quantità di baccalà, alimento molto saziante, economico e semplice da conservare. A testimonianza della grande passione del popolo partenopeo per il baccalà, ricordiamo  un’opera letteraria di Antonio Parlato dal titolo “Sua maestà il baccalà”: un libro che fin da subito esprime tutto l’amore che lo scrittore aveva per la sua terra e per il pesce in salato che ci viene importato d’oltremare.

 

 

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