PHOTO ©2018 RENATO LUCHINI

Arte culinaria partenopea: storia ed origini di una cucina unica

Arte culinaria partenopea: storia ed origini di una cucina unica al mondo, visto che i sapori della città di Napoli non hanno eguali.

Arte culinaria partenopea. Napoli, è una città, benché attanagliata da innumerevoli problematiche di varia natura, dalle mille risorse, tra cui oltre alle bellezze naturali, annovera l’arte della cucina, forse unica al mondo. Lo scrittore Florio Agnico, a tal proposito, nella sua opera sul poeta latino Tito Livio, afferma che non solo d’Italia, ma di tutto il mondo, la provincia più bella è Napoli, poiché in nessun’altra località, il cielo è così azzurro, così  temperato, il clima è così mite che fioriscono per ben due volte gli alberi, ma soprattutto, così bene, non si mangia da nessuna parte.

Grazie a questa fantastica descrizione l’arte culinaria partenopea non poteva che ascendere ai più alti onori, e la cucina italiana, dappertutto celebrata e magnificata, nonché invidiata da tutti deve la sua fama, non tanto ai pur buonissimi  tortellini emiliani, o agli ottimi risotti alla milanese, oppure  alle tante altre prelibatezze regionali, ma in modo particolare  alla pizza, agli spaghetti, alla pastiera, alle sfogliatelle, al babà ed ai tipici prodotti dell’arte culinaria partenopea, divenuta all’unanimità ambasciatrice della gastronomia italiana nel mondo. La cucina napoletana, come d’altronde un po’ tutta la cultura e le tradizioni, affonda le sue radici nella Neapolis greco-romana.

 

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Ma cosa si mangiava di così buono, a Napoli, nei tempi antichi? Originariamente si mangiava, prevalentemente la sera, quando si consumava il pasto principale che differiva a seconda delle condizioni economiche della famiglia. I meno abbienti si cibavano di un impasto di farina di cereali chiamato pultes, bollito nell’acqua o nel latte e condito con aglio e cipolla e, talvolta, soprattutto nei giorni di festa, si nutrivano delle laganon, delle sottili sfoglie di farina imbottite di carne, formaggio ed erbe.

Da qui l’origine delle lasagne dei nostri giorni, un piatto appetitoso e nutriente del quale vanno tutti matti. Poi, particolarmente prelibato era l’intingolo di Baia, una sorta di zuppa di ostriche e cannolicchi, che si lasciavano cuocere nel mosto, con l’aggiunta di alghe, pinoli, sedano e pepe. Infine, all’epoca il condimento più diffuso era, come per i Romani, il garum, che si otteneva dalla fermentazione delle interiora dei pesci, con l’aggiunta di erbe aromatiche e aceto. Si trattava di patti sempici, non costosi e di una squisitezza tale da far ergere l’arte culinaria partenopea a simbolo di Napoli.

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Del resto i napoletani, da sempre, sono stati amanti della buona cucina e disposti pure a svenarsi pur di  fare una bella scorpacciata di prelibatezze. Per chi non lo ricordasse nella città partenopea vissero personaggi storici come Lucullo e Trimalcione.  La leggendaria villa di Lucullo, grande conoscitore di cucina,  vissuto nel primo secolo avanti Cristo,, si estendeva dalle pendici di monte Echia sino all’isolotto di Megaride, oggi Borgo Marinari e rappresentava la massima espressione dell’arte culinaria.

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