La pasta, fiore all’occhiello del Made in Italy.
È un legame genetico quello tra la pasta e l’Italia. Come se nei geni, a priori, si fosse stabilita un’istintiva simbiosi, come le emozioni che suscita un paesaggio naturale, incantando gli occhi di chi lo guarda, scomodando col dovuto rispetto il biologo di Harvard, Edward Wilson, secondo la sua teoria della biofilia.
Il binomio pasta-Italia è la punta di diamante del “Made in Italy” per quel che concerne l’ambiente gastronomico, di cui tanto siamo orgogliosi, soprattutto per la sacralità che evoca la tavola per noi italiani e per il tributare di ciascuna regione al comune culto culinario.
Una tradizione millenaria.
Lunga e affascinante è la storia della pasta, che ogni giorno delizia milioni di palati, accompagnata da sughi e sapori di ogni varietà. Le prime lavorazioni del grano risalgono addirittura al cambiamento delle condizioni di vita dell’uomo: dal nomadismo al sedentarismo, quindi alla comparsa delle prime forme di civiltà.
In Italia le prime testimonianze discendono dalla seconda metà del 1100 con il geografo arabo, Al-Idrin, secondo cui, in quel di Palermo, si confezionava in botti e si esportava “un cibo di farina in forma di fili”. Il clima di regioni come Sicilia, Campania e Liguria permetteva l’essiccare della pasta esponendola all’aria, mentre nel settentrione veniva utilizzato un macchinario ad hoc: la giostra. Nel 1500 l’approdare del pomodoro – astro della Terra, per citare Neruda – nella nostra penisola aumentò in maniera esponenziale la produzione e la leva dei maestri pastai. Nel corso del 1800 si respirava aria di innovazione: infatti, Ferdinando II, re delle Due Sicilie, richiese allo scienziato Cesare Spadaccini, l’invenzione di un processo meccanico per produrre la pasta e nel 1870 furono fabbricati i primi torchi. Sugli sviluppi di questa tecnologia, nel 1933 fu costruita la prima macchina in grado di eseguire l’intero processo produttivo della pasta.
Gli effetti della globalizzazione.
Con la crescita delle relazioni e degli scambi internazionali – globalizzazione – la riserva culinaria italiana si è imbattuta in un’incessante e zibaldonica importazione, mutando le nostre abitudini alimentari con cibi e prodotti etnici.. In altri casi vengono creati dei simpatici mosaici culinari. Lungi dall’essere un male assoluto, anzi, l’esempio lampante di globalizzazione positiva – seppur storicamente remoto – è proprio la pasta al pomodoro.
Il falso Made in Italy.
La malerba è la produzione spacciata per “Made in Italy”. Infatti, secondo la Cia (Confederazione italiana agricoltori) i falsi prodotti italiani, stranieri e illeciti, nonché pericolosi, muovono un giro di denaro di 60 miliardi di euro, di cui a malincuore una parte finisce anche sulle nostre tavole. Per non parlare di prodotti nostrani che vengono sostituiti da quelli esteri all’interno di ristorazioni italiane. Quindi, in questo mondo sempre più offuscato dall’ammasso di relazioni e scambi, l’identità diventa l’unica arma per rilanciarsi e contrastare le distorsioni della globalizzazione.