Ometeotl — From the book: Mexico the way it was and is. (1847) — WikiCommons 

Ometeotl: l’incredibile eco Azteca del Brahman Vedico

Le affinità tra il misticismo mesoamericano e le antiche dottrine spirituali dell'India.

Ometeotl: l’Incredibile eco Azteca del Brahman Vedico. Un parallelo tra la visione sacra precolombiana e la sapienza filosofica dell’India antica.

Cosa potrebbe mai accomunare le imponenti piramidi del Messico precolombiano, immerse nel verde soffocante della giungla, con gli antichi e misteriosi testi sacri dell’India, nati tra le vette contemplative dell’Himalaya? A prima vista, assolutamente nulla. Sono mondi separati da oceani, millenni e barriere culturali che appaiono insormontabili. Eppure, scavando nel cuore più profondo e raffinato della spiritualità azteca, emerge una figura divina tanto complessa quanto affascinante, Ometeotl, che sembra riecheggiare con una precisione sbalorditiva uno dei concetti cardine della filosofia vedica: il Brahman.

“Non è mai realmente esistita una filosofia greca, così come non è mai realmente esistita una filosofia indiana. È sempre e solo esistita la Filosofia Perenne, espressa in linguaggi differenti.” Con questa celebre affermazione, lo scrittore e pensatore Aldous Huxley ci ha fornito una lente per osservare le grandi tradizioni spirituali del mondo. Ed è proprio attraverso questa lente che la figura quasi dimenticata di Ometeotl rivela la sua portata sbalorditiva e universale.

Nel vertiginoso e spesso frainteso panorama cosmologico azteco, Ometeotl rappresenta il principio supremo, l’unità assoluta che precede e trascende ogni dualismo. Risiede in Omeyocan, “il luogo della dualità”, il punto più elevato dei cieli. Il suo nome, “Signore Due”, è di per sé un paradosso illuminante: esso contiene l’essenza maschile, Ometecuhtli, e quella femminile, Omecihuatl. Non si tratta di due divinità distinte che operano in concerto, ma dei due volti della stessa, unica e imperscrutabile Realtà Ultima, un’entità androgina che si è generata da sé stessa nel vuoto primordiale. Per l’élite intellettuale azteca, i tlamatinime (i saggi), Ometeotl era la causa prima, l’origine e il destino di ogni cosa, un’energia divina onnipervadente che gli studiosi identificano con il concetto di Teotl — un termine impropriamente tradotto dai conquistadores come “dio”, ma che indica in realtà la forza sacra, impersonale e dinamica, che anima l’intero cosmo.

Come magistralmente evidenziato dal celebre studioso Miguel León-Portilla, che ha decifrato la profondità filosofica della poesia Nahua, Ometeotl è il “Signore del paradigma della dualità”. Ogni coppia di opposti che governa il mondo fenomenico — il giorno e la notte, il caldo e il freddo, la vita e la morte, il cielo e la terra — non è che una sua manifestazione, una danza di polarità che alla fine si dissolve e ritorna all’Unità primordiale da cui ha avuto origine. Era una concezione talmente astratta e trascendente da non richiedere templi o culti specifici; la sua venerazione era intellettuale e poetica, non rituale. Eppure, la sua presenza aleggiava, potente e costante, in innumerevoli opere poetiche del mondo Nahua.

E qui, l’analisi ci trasporta, quasi di peso, dall’altra parte del mondo, conducendoci a un parallelo sorprendente con lo Shivaismo del Kashmir e, più in generale, con l’Advaita Vedanta, la più nota scuola di non-dualismo indiano. Anche in queste tradizioni, la realtà suprema è concepita come un’unità che manifesta una dualità. Il dio Shiva è venerato come l’Assoluto, ma è inseparabile da Shakti, la sua energia creatrice e dinamica. Questa coppia divina, proprio come Ometeotl, è considerata l’origine inscindibile di tutto l’esistente, un’unica realtà vista da due prospettive.

Ometecuhtli and Omecíhuatl, are the respective masculine and feminine parts of the primordial god Ometeotl — WikiCommons

Questa convergenza va ben oltre una semplice somiglianza mitologica, è una vera e propria sintonia metafisica. Proprio come il Brahman descritto nelle Upanishad — “l’Uno senza secondo”, “al di là del conosciuto e dell’ignoto”, né questo né quello (neti neti) — anche Ometeotl si rivela essere l’Assoluto impersonale, una realtà non-duale che esiste prima e oltre ogni forma e attributo. Raggiungere questa comprensione rappresenta, in ogni cultura, un incredibile salto filosofico: dal pantheon di divinità personali con desideri e capricci umani, a un principio ultimo, astratto e ineffabile. È la stessa vetta spirituale, raggiunta attraverso sentieri diversi, in continenti separati da un oceano invalicabile.

Questa percezione della realtà ultima si riflette inevitabilmente nella concezione della vita terrena. Un toccante componimento anonimo, tratto dal manoscritto dei Cantares Mexicanos, recita: “Colui che ci ha dato la vita ci inganna, rincorriamo solo un’illusione… Nessuno, nessuno, nessuno vive veramente sulla Terra.” Questa malinconica consapevolezza della transitorietà, tuttavia, non è un inno al nichilismo. Al contrario, proprio come i saggi vedantici guidati dal grande filosofo Shankara consideravano il mondo una manifestazione empirica ma priva di realtà assoluta (Maya), così gli Aztechi vedevano l’esistenza come un “sogno” o un “gioco” (nelli) di Ometeotl. I dolori e le gioie, il bene e il male, non erano che elementi fugaci di questo sogno cosmico, proiezioni divine destinate a svanire al momento del risveglio nella coscienza dell’Uno.

Di fronte a queste analogie così precise, sorge una domanda spontanea: come è possibile? Senza contatti storici documentati, l’ipotesi di una trasmissione diretta è da escludere. La risposta più plausibile ci riporta ad Huxley e alla sua Filosofia Perenne. L’esperienza mistica, la profonda introspezione sulla natura della coscienza e dell’esistenza, sembra condurre l’animo umano a conclusioni universali. Che si tratti di un saggio Nahua che contempla le stelle sopra Tenochtitlan o di un rishi che medita sulle rive del Gange, la ricerca della verità ultima sembra culminare nella stessa intuizione fondamentale: dietro il velo del molteplice, esiste un’Unità indivisibile.

Siamo quindi di fronte a una straordinaria convergenza spirituale, una potente testimonianza di quella sapienza universale che fiorisce spontaneamente nell’animo umano quando esso si interroga sulla propria origine e sul proprio destino. In definitiva, il messaggio segreto degli Aztechi è sorprendentemente affine a quello dei Veda. Conoscere Ometeotl, l’Uno-Due che è oltre ogni nome, significava intraprendere un cammino di liberazione. Significava, per i saggi del Messico antico, ciò che conoscere il Brahman significava per i veggenti dell’India: trascendere la prigione della mente dualistica per risvegliarsi nell’infinita e pacificata unità del cosmo.

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