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Problemi di Ghosting? Benvenuti nell’Era delle Interruzioni

Viaggio nell'effetto Zeigarnik e nel modo in cui notifiche stanno hackerando la nostra sanità mentale.

Problemi di Ghosting? Benvenuti nell’Era delle Interruzioni. Viaggio nell’effetto Zeigarnik.

Problemi di Ghosting?
Qualche giorno fa, proprio qui su Crono.news, ho condiviso con voi una riflessione che mi stava molto a cuore, intitolata “Gesù Vangelo di Tommaso e Zen: il visibile può rivelarci l’invisibile” (se ve la siete persa o volete rileggerla, potete ritrovarla cliccando qui).
In quell’articolo, sulla scia di maestri Zen e di parole attribuite a Gesù nel Vangelo di Tommaso, ragionavamo su un’idea affascinante: che non servano riti complicati o luoghi speciali per accedere a una comprensione più profonda di noi stessi e, di riflesso, del mondo che chiamiamo “realtà”. La famosa “Porta Senza Porta” del Mumonkan non è un luogo fisico, ma è ovunque.
È nel mormorio di un ruscello, certo, ma è anche nel volto di una persona che incrociamo, nel gatto che si stira al sole, nella tazza sbeccata da cui beviamo il caffè, in una pianta che cresce sul balcone, persino in un ricordo che affiora. Qualsiasi cosa, qualsiasi frammento della nostra esperienza quotidiana, se osservato con attenzione e presenza, può diventare quella soglia, quella crepa nel muro della nostra percezione abituale, attraverso cui intravedere qualcosa di più vasto.
Ecco, bellissimo concetto, vero? Peccato che, ripensandoci oggi, mi sia sorto un sospetto atroce: ma in mezzo al casino assordante in cui viviamo, siamo ancora capaci di notarla, questa porta sempre aperta? O forse quel potenziale accesso alla quiete e alla profondità è stato sepolto sotto una valanga di… beh, di tutto il resto?
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Mi sembra quasi che quella soglia luminosa si sia trasformata, quasi ironicamente, nel suo negativo: una porta girevole infernale che non porta da nessuna parte, se non all’ennesima interruzione. La chiamo, un po’ così, la Porta nella Porta dell’Interruzione. Mi spiego meglio, sennò sembro matto. Avete presente quella leggerissima, ma costante, sensazione di avere sempre qualcosa in sospeso? Quel lavoro iniziato e non finito, quell’email a cui rispondere, quel progetto lasciato a metà? Ecco, non è solo pigrizia o disorganizzazione. C’è un meccanismo psicologico dietro, scoperto un secolo fa, che si chiama Effetto Zeigarnik. In pratica, dice che il nostro cervello è programmato per fissarsi sulle cose incomplete. Quando iniziamo qualcosa, si crea una specie di “tensione” mentale, un bisogno di chiudere il cerchio. Se veniamo interrotti prima della fine, quella tensione rimane lì, attiva, e il compito incompiuto continua a fare capolino nei nostri pensieri, a reclamare attenzione. È come un pop-up insistente nella nostra testa.
Ora, tenete a mente questo effetto Zeigarnik e guardatevi intorno. Guardate il vostro smartphone. Pensate a come viviamo oggi. Non vi sembra che il nostro mondo digitale – fatto di notifiche incessanti, feed infiniti, titoli acchiappa-clic – abbia preso questo meccanismo e lo abbia trasformato nella nostra modalità operativa standard? Siamo letteralmente assediati da frammenti, da inizi, da stimoli che catturano la nostra attenzione per un istante, interrompendo qualsiasi altra cosa stessimo facendo, pensando o sentendo. Non è solo un’interruzione occasionale, è un sistema: un labirinto di interruzioni che si autoalimenta, dove ogni pausa forzata ne genera potenzialmente altre, in un ciclo che sembra non avere mai una vera conclusione.
E se c’è un luogo dove questa natura vorticosa dell’interruzione raggiunge livelli quasi artistici, quello sono le nostre chat. WhatsApp, Messenger, Telegram… pensateci. Sono tecnologie meravigliose per certi versi, ma dal punto di vista del nostro povero cervello bisognoso di coerenza e chiusura, sono una specie di tortura cinese. Una conversazione “normale”, faccia a faccia, ha un inizio, uno sviluppo, una fine.

C’è un contesto, un tono di voce, uno sguardo. Le chat? Sono l’esatto opposto. Sono un flusso perenne di interruzioni a incastro: Messaggi che arrivano a pezzi, interrompendo la tua stessa risposta al pezzo precedente. Risposte che generano altre domande istantanee, che a loro volta vengono interrotte da un’altra notifica di un’altra chat, come in un gioco di scatole cinesi senza fondo. Il “visualizzato senza risposta”, che lascia un compito mentale aperto (“risponderà?”) che si aggiunge a tutti gli altri task mentali sospesi. La gestione di conversazioni multiple in parallelo, un vero caos comunicativo su più livelli dove ogni ramo è a sua volta interrotto e frammentato, lasciandoti con decine di micro-tensioni Zeigarnik attive contemporaneamente. Il risultato è spesso uno straniamento kafkiano. Ti ritrovi a fissare lo schermo chiedendoti: “Aspetta, ma a chi stavo rispondendo?”, “Di cosa stavamo parlando esattamente cinque minuti fa?”, “Perché quella conversazione è morta lì?”.
La comunicazione, che dovrebbe unire, diventa un puzzle infinito di pezzi mancanti, un generatore automatico di micro-frustrazioni e di compiti mentali lasciati in sospeso. È l’effetto Zeigarnik amplificato da questa continua cascata di interruzioni. Mettete insieme questo tritacarne comunicativo con il bombardamento generale di contenuti frammentati dai social, dalle news, da tutto il resto, ed ecco il quadro: la nostra testa diventa un flipper impazzito, costantemente sollecitata da queste interruzioni che si susseguono senza sosta, costantemente interrotta, costantemente in uno stato di lieve (o meno lieve) allerta.
La capacità di concentrarsi su una cosa – fosse anche sentire il famoso ruscello, o leggere un libro, o ascoltare davvero una persona senza controllare il telefono – diventa un superpotere. L’ansietta di sottofondo, quel sentirsi sempre un po’ “indietro”, un po’ incompleti, diventa la norma. Siamo perennemente pending, persi in questo labirinto di inizi senza fine. Oggi non voglio soffermarmi sui rimedi, su come forse potremmo provare a uscirne. Quella è un’altra storia, magari per un’altra volta. Oggi volevo solo mettere a fuoco il problema, questa condizione un po’ assurda in cui ci troviamo, questa sensazione diffusa di essere sempre interrotti, sempre incompleti, proprio a causa di questa moltiplicazione quasi infinita delle interruzioni che la tecnologia moderna sembra incoraggiare.
Ma ehi, complimenti! Davvero un plauso se siete riusciti a leggere tutto questo articolo fino in fondo senza farvi risucchiare dal vortice frattale delle notifiche che sicuramente vi sono arrivate nel frattempo. Però… attenzione! Ve le siete perse! Cosa ci sarà mai stato di così importante? Messaggi urgenti? Notizie imperdibili? Offerte irripetibili?
(Toc toc…) Sentite? Bussano alla Porta nella Porta dell’Interruzione. Forse è meglio correre a controllare, no?
Oppure no…?
problemi di ghosting
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