L’Ekdysia Cretese: scambiarsi le vesti per capire l’altro

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L’Ekdysia Cretese: scambiarsi le vesti per capire l’altro. Seguito delle riflessioni ispirate da Tong-Jai nel “Diario di una Scolara” di Prabda Yoon.

Riprendendo le riflessioni del mio articolo dell’altro ieri in cui analizzavo il libro “Feste in lacrime” di Prabda Yoon, in particolare il racconto “Diario di una Scolara”, focalizzandomi sulla peculiare visione matematica della piccola Tong-Jai. Vorrei condurvi in un territorio inaspettato, un luogo dove un’antica usanza risuona in modo sorprendente con le domande che mi hanno lasciato le pagine di Yoon. Se avete perso il mio precedente articolo su questo affascinante autore thailandese e il suo racconto “Diario di una Scolara”, vi basta cliccare sul link seguente per immergervi nel contesto: https://crono.news/Y:2025/M:03/D:26/h:13/m:12/s:10/prabda-yoon-feste-in-lacrime-the-sad-part-was-thailand-writers-fiction-books-magical-realism/

Parto da un’immagine che mi ha colpito: l’Ekdysia, un antico e suggestivo rituale di cui si ha traccia nell’antica Creta, forse già dal periodo classico/ellenistico (tra il V e il I secolo a.C.), celebrato specialmente a Phaistos, una delle più importanti città minoiche e poi greche dell’isola. Il suo nome, che significa ‘spogliarsi’, allude a un passaggio. Durante l’Ekdysia, in occasione delle nozze, gli sposi compivano un gesto singolare: si scambiavano le vesti. Questo atto fisico e visibile era un modo potente per simboleggiare non solo la transizione verso la vita comune, ma anche l’inizio di una profonda intimità e comprensione reciproca nella nuova coppia.

Trovo affascinante come questa pratica illumini il dubbio di Tong-Jai sull’1+1. Invece di una logica additiva statica (uomo+donna = somma definita), suggerisce una metamorfosi generativa: l’unione non è una somma, ma un potenziale trasformativo.

Lo scambio di vesti nell’Ekdysia simboleggia proprio questo: non una fusione indistinta o un annullamento, ma un arricchimento reciproco. Non si tratta di aggiungere staticamente, ma di generare novità attraverso una prospettiva temporaneamente condivisa, catalizzando un’empatia più profonda.

Immaginate la scena: un uomo e una donna che indossano gli abiti del coniuge. A prima vista un gioco, ma riflettendoci, assume una valenza simbolica maggiore. Non significa diventare l’altro o perdere identità, ma rappresenta un atto di permeabilità temporanea, un modo per sperimentare, anche simbolicamente, la prospettiva altrui.

Questo richiama le riflessioni di Tong-Jai: la sua difficoltà con ‘uno più uno fa due’ nascondeva l’intuizione che l’unione di due entità non è sempre una semplice somma, ma può innescare qualcosa di nuovo e inaspettato.

Allo stesso modo, lo scambio di vesti era un catalizzatore per quella comprensione reciproca trasformativa. Un modo per arricchire la propria visione del partner, sentendo il mondo attraverso i suoi occhi per un momento. Non una fusione, ma un’espansione della prospettiva, un atto empatico che genera nuova qualità nella relazione.

Questo antico rituale suggerisce che la vera connessione non si basa sull’omologazione, ma sulla capacità di accogliere le differenze. L’identità individuale si arricchisce adottando temporaneamente un punto di vista diverso. L’Ekdysia diventa così una metafora potente della possibilità di connettersi profondamente senza perdere se stessi, un arricchimento reciproco che non altera l’essenza, ma ne amplifica la comprensione in una vera metamorfosi generativa.

Così, da una riflessione sulla logica “non matematica” di una bambina thailandese, giungiamo a contemplare un’antica usanza cretese. Entrambe, a loro modo, ci invitano a guardare oltre le apparenze e a considerare come l’unione e l’interazione possano generare una comprensione più profonda e sfumata della realtà che ci circonda. Questa idea di fluidità e di prospettive intercambiabili trova eco nelle parole del filosofo cinese Zhuangzi, che nel suo celebre sogno si interrogava sulla natura ultima della realtà.

Come riportato nel libro “Zhuang-zi [Chuang-tzu]” tradotto da Liou Kia-hway e pubblicato da Adelphi Edizioni (prima edizione 1982), Zhuangzi stesso scrive:

“Una volta Zhuangzi sognò di essere una farfalla, una farfalla che volava qua e là, felice e contenta di sé. Non sapeva di essere Zhuangzi. Ma a un tratto si svegliò, ed ecco che era di nuovo Zhuangzi. Ora non sapeva se era Zhuangzi che aveva sognato di essere una farfalla, o se era una farfalla che stava sognando di essere Zhuangzi.”

Questa profonda riflessione ci ricorda la natura illusoria e mutevole delle nostre identità e percezioni, invitandoci a una maggiore apertura mentale e a una profonda empatia verso l’altro.

E quindi, 1+1 quanto fa?
Stavolta sarei tentato di rispondere 1+1…ma preferisco ancora…Mu.

Ekdysia Cretese  Ekdysia Cretese

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