Lazzari napoletani e filosofia dei maccheroni: cibo come linguaggio. Quando la pancia grida verità.
Lazzari napoletani. Proprio come il luminol rivela tracce invisibili, così è per me studiare la filosofia Vedanta: rivela verità nascoste sull’esistenza. Non solo rivela tracce invisibili, ma trasforma l’ordinario in straordinario, facendo emergere una fluorescenza di significati nascosti che, alla luce normale della ragione, rimarrebbero celati.
In questo ultimo mese, mentre mi immergevo in una variegata collezione di letture su Leopardi a Napoli – saggi critici, racconti, approfondimenti particolari e persino un affascinante romanzo storico – ho trovato particolarmente ispirante, gustoso e divertente “Leopardi a Napoli. Tra sorbettieri, pasticcieri e seguaci della filosofia dei maccheroni” (2000diciassette, 2023) di Carmine Cimmino, scrittore, docente e storico culturale. Il saggio esplora magistralmente il periodo napoletano del poeta, analizzando l’influenza della cultura gastronomica e dei personaggi locali sulla sua vita e sul suo pensiero, offrendo una prospettiva originale sul legame tra la sua filosofia e il contesto socio-culturale partenopeo. In questo groviglio di temi – la rivolta dei lazzari (sottoproletariato napoletano) del 1799, l’influenza della sensistica francese e il rapporto tra cibo, linguaggio e ribellione – il mio background nel Vedanta è esploso come una lente d’ingrandimento.
-
Ādi Śaṅkara e i Travestimenti dell’Ego: Perché Parliamo di “Pance”?
Partiamo da un contesto necessario: Ādi Śaṅkara fu un filosofo indiano dell’VIII secolo, un’epoca in cui l’India era un crocevia di tradizioni religiose e filosofiche – dall’Induismo al Buddhismo, dal Giainismo alle scuole materialistiche. In questo panorama complesso, dominava un ritualismo ossessivo che aveva trasformato la spiritualità in una serie di gesti meccanici, svuotati di significato. La società era rigidamente stratificata in caste, e la salvezza spirituale veniva considerata un privilegio di nascita più che una conquista interiore.
In questo contesto, Śaṅkara emerse come una voce rivoluzionaria. Padre del Vedanta Advaita (non-dualismo), non si limitò a proporre una filosofia astratta, ma attaccò frontalmente l’ipocrisia del suo tempo. La tradizione narra che, mentre si trovava a Varanasi, osservando un gruppo di studiosi perdersi in dispute grammaticali sterili senza alcuna preoccupazione per la crescita spirituale, compose il Bhaja Govindam, un inno didattico che è anche una critica sociale tagliente. Il verso “Jaṭilo muṇḍī luñjita keśaḥ… udara nimittam bahukṛta veśaḥ” tradotto è: “Chi ha capelli arruffati, chi è rasato, chi indossa abiti gialli… tutti questi travestimenti servono solo a riempire la pancia”. Śaṅkara condanna chi usa simboli spirituali per nascondere avidità o fame mondana, chi trasforma la ricerca dell’Assoluto in un mestiere per sfamarsi. Ma cosa c’entra con i lazzari di Napoli?
-
Napoli 1799: Vermicelli, Rivolta e il Linguaggio che Viene dalla Pancia
Nel suo saggio, Cimmino ricostruisce magistralmente come l’energia caotica della plebe sia stata una costante storica della città. I lazzari (popolani disperati) durante la Rivoluzione Partenopea del 1799 divennero simbolo di una rivolta anarchica, legata alla sopravvivenza fisica. Un loro detto recita: “‘stu maccarone se magagna / guardanno ‘ncielo” (“Questo maccherone si maltratta / guardando il cielo”).
Cosa significa?
Magagnare (maltrattare): è l’atto violento di manipolare la pasta, metafora dell’attacco ai borghesi (i “vermicelli” simbolo delle élite).
Guardanno ‘ncielo: allude alla libertà anarchica (il cielo come unico tetto) e alla spiritualità popolare (devozione a San Gennaro).
I lazzari non usavano teorie astratte: il loro linguaggio nasceva dai sensi, dal corpo, dalla fame. Come insegnava la sensistica francese (Condillac, Helvétius), corrente del Settecento che sosteneva che le idee derivano dalle percezioni fisiche. Per loro, persino le parole dovevano aderire al reale: niente metafore vuote, solo ciò che si tocca.
-
La Napoli che Resiste: Pietra e Carne contro la Smaterializzazione
Nel suo illuminante saggio, Cimmino scrive: “Ha scritto Silvio Perrella: Ecco quello che Napoli può ancora insegnare al mondo: il tangibile, carnale, a volte spiacevole e doloroso, ma sempre guizzante e carico di misura, senso della realtà. Di fronte al dilagare della smaterializzazione del mondo, Napoli si pone come baluardo fatto di pietra, un petraio sfavillante di immaginazioni culturali.” Questa resistenza del tangibile contro l’astratto risuona profondamente con la lotta dei lazzari e, paradossalmente, con gli insegnamenti del Vedanta sulla necessità di non mascherare la realtà con veli di ipocrisia.
Lazzari napoletani. Questo incrocio tra filosofia indiana, sensismo e storia napoletana rivela una verità scomoda: studiamo l’Advaita per trascendere il mondo, ma è proprio il mondo – con le sue pance, i suoi vermicelli, il sangue sui selciati – a ricordarci che ogni spiritualità, per non essere travestimento, deve partire dal basso.
È in questa autenticità carnale, in questa resistenza del tangibile contro lo smaterializzarsi del reale, che si nasconde forse la più profonda lezione: quella che Śaṅkara cercava di insegnare smascherando i falsi asceti in India, e che Napoli continua a incarnare nel suo “guizzante e carico di misura senso della realtà”, dove la verità non si nasconde nelle astrazioni, ma pulsa nella vita vissuta.