O’ Mastuggiorgio: un’ombra del passato negli ospedali psichiatrici napoletani

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O’ Mastuggiorgio: un’ombra del passato negli ospedali psichiatrici napoletani. L’etimologia del termine “Mastuggiorgio” è incerta e oggetto di diverse interpretazioni.

O’ Mastuggiorgio è una figura che evoca immagini forti e contrastanti: un gigante buono, un aguzzino, un simbolo di un’epoca passata. Chi era costui? Un tuffo nel passato ci riporta agli antichi ospedali psichiatrici napoletani, dove questa figura rivestiva un ruolo centrale, sebbene oggi sia quasi dimenticata.

Le origini di un nome

L’etimologia del termine “Mastuggiorgio” è incerta e oggetto di diverse interpretazioni. La teoria più accreditata lo riconduce al greco “mastigophòros“, portatore di frusta, un riferimento al ruolo di controllo e contenimento che questa figura esercitava sui pazienti. Un’altra ipotesi, più popolare ma meno documentata, lo collega a un ipotetico “Mastro Giorgio Cattaneo”, un castigamatti del XVII secolo.

In realtà, il termine “mastuggiorgio” sembra essere un’evoluzione dialettale di parole più generiche come “mastro” e “giorgio”, indicando semplicemente un uomo di mestiere, un guardiano.

Un ruolo complesso e controverso

O’ Mastuggiorgio era innanzitutto un guardiano, un uomo di forza fisica che aveva il compito di sorvegliare i pazienti più turbolenti e di impedire loro di far del male a sé stessi o agli altri. Spesso, le sue mansioni lo portavano a utilizzare metodi coercitivi, come la camicia di forza, per immobilizzare i pazienti durante le crisi.

Va sottolineato, però, che O’ Mastuggiorgio non era solo un esecutore di ordini, ma svolgeva anche un ruolo di assistenza ai pazienti. Si occupava dell’igiene personale, della somministrazione dei pasti e, in alcuni casi, instaurava un rapporto di fiducia con i malati.

Un riflesso di un’epoca

La figura de O’ Mastuggiorgio è un’autentica fotografia di un’epoca, in cui la malattia mentale era ancora avvolta da un alone di mistero e paura. Gli ospedali psichiatrici erano luoghi spesso fatiscenti, dove i pazienti erano sottoposti a trattamenti cruenti e umilianti. O’ Mastuggiorgio, con le sue contraddizioni, incarnava perfettamente questo mondo oscuro e violento.

Nella letteratura napoletana

O’ Mastuggiorgio ha lasciato un’impronta anche nella letteratura napoletana. Salvatore di Giacomo, nella sua poesia “Si è Rosa ca mme vò”, dipinge un quadro toccante della reclusione e della follia, evocando l’immagine dell’O’ Mastuggiorgio come custode di un mondo chiuso e alienante. Anche Raffaele Viviani, nel suo “O guappo nnammurato”, utilizza la figura de’O’ Mastuggiorgio come metafora dell’uomo umiliato e sconfitto.

Un’eredità controversa

Oggi, ‘O’ Mastuggiorgio è una figura quasi dimenticata. I progressi della psichiatria e l’umanizzazione dei trattamenti hanno reso obsolete le pratiche del passato. Tuttavia, la sua figura continua a suscitare interesse e dibattito.

Da un lato, rappresenta un simbolo di un’epoca oscura, un monito sui pericoli della violenza e della discriminazione nei confronti dei malati mentali. Dall’altro, è anche una testimonianza della complessità del rapporto tra malato e curante, un rapporto spesso difficile e conflittuale.

O’ Mastuggiorgio è dunque molto più di un semplice guardiano di un manicomio. È un’icona di un’epoca, un simbolo di un modo di concepire la malattia mentale che oggi ci appare lontano e crudele. La sua storia ci ricorda l’importanza di non dimenticare il passato, per poter costruire un futuro migliore.

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