Il manifesto per il cuoco moderno, presentato a Paestum.
Cuoco. Che bella parola: cuoco! Questa espressione di Totò “Felice Sciocciamocca” in Miseria e Nobiltà potrebbe sintetizzare al meglio il ritorno alle origini di una figura professionale, da cui, negli ultimi cinquanta anni, è partita una delle rivoluzioni sociali e culturali più significative, paragonabili solo a quelle apportate dalla tecnologia.
Con il grande riconoscimento sociale, accompagnato da una grande visibilità mediatica, spesso, auto celebrativa, i cuochi hanno perso il contatto con il territorio. E così, da qualche tempo, di chef sembra non voglia più sentire parlare nessuno. Cuoco è familiare, rassicurante, mette a proprio agio in un’epoca in cui lo chef, invece, sembra essere diventato più un personaggio del mondo dello spettacolo che colui che “prepara da mangiare”. Poi non è veramente così, i più devono fare i conti con la gestione di una delle imprese tra le più difficili da gestire, il ristorante, divisi tra “palco e realtà”.
Devono aver pensato a questo i curatori Barbara Guerra e Albert Sapere, lanciando il Manifesto del cuoco moderno in occasione della presentazione della nuova edizione de Le strade della mozzarella , in programma a Paestum il 23 e 24 maggio 2018.
Un documento che farà molto discutere ma che è di grande attualità. È scaturito, come affermano loro stessi, dall’osservatorio privilegiato del congresso che si svolge nella famosa area archeologica di Paestum oramai da dieci anni. “Siamo stati fortunati, avendo avuto la possibilità di osservare molto da vicino quella che è la ristorazione d’autore italiana” – affermano Guerra e Sapere – “Una ristorazione che, anche grazie alla mediaticità della figura del cuoco, assume un ruolo sociale diverso. Non è sufficiente, nel mondo moderno, saper fare un buon piatto, corretto tecnicamente e stilisticamente. Sono diventati prioritari anche il benessere a tavola dei propri ospiti, la sostenibilità delle produzioni impiegate nei piatti, la valorizzazione del mondo vegetale, dettare un modello di alimentazione e di conseguenza di ristorazione sostenibile. Per noi sono diventati temi sempre più centrali, senza per questo demonizzare nessun cibo, ma soltanto usando buon senso, nel rispetto del cliente e del mondo che ci circonda”.
Idee non proprio nuovissime, ma di cui, evidentemente, si era perso il senso. Una rivoluzione simile, infatti, l’avevano lanciata trent’anni fa Alfonso e Livia Iaccarino con il loro ristorante di Sant’Agata sui due Golfi, contribuendo anche al rilancio della Dieta Mediterranea.
Un nuovo inizio
In questi ultimi anni non si può dire che il territorio non sia stato al centro delle proposte degli chef ma forse la sua interpretazione è stata troppo estremizzata, tanto da perdersi in preparazioni più attente al foodporn che alla dieta, soprattutto quella mediterranea. Barbara Guerra e Albert Sapere l’hanno intuito, e da innovatori e comunicatori non si sono limitati a lanciare la sfida attraverso il tema della nuova edizione del congresso, che sarà ispirato agli studi dei coniugi Keys, e dunque all’utilizzo degli ingredienti della Dieta Mediterranea nelle proprie performance, ma aprono un grande dibattito sulla figura del cuoco.
“Attualizzare quegli studi, dal punto di vista della cucina, sarà il tema principale delle relazioni dei cuochi alle prossime edizioni di LSDM: Il mondo vegetale, i legumi, l’olio extravergine d’oliva, la pasta secca, i pomodori, la mozzarella di bufala campana, il pescato locale; prodotti distintivi del bacino del Mediterraneo”.
“Pensiamo, inoltre” – affermano i due curatori – “che il ruolo del cuoco sia sempre più centrale, come artigiano di gioia e pedagogo dei propri clienti. A partire dal ‘900, secolo di grandi scoperte per il genere umano, il cibo viene vissuto come affermazione sociale e non solo come bisogno primario per sfamarsi, tanto da essere preso in considerazione anche nel campo letterario. Basti pensare all’Ulisse di James Joyce, pietra miliare nella genesi del romanzo moderno, in cui è illustrata la passione gastronomica di Leopold Bloom. Il cuoco di oggi non sfama, ma è il motore di una rinnovata sensibilità alimentare e ambientale; è portatore di conoscenza della materia e innovazione tecnica. Egli ha un valore sociale nuovo, diverso da quello del passato: diventa protagonista nell’attualizzare il modello alimentare, assecondando le esigenze del mondo moderno, senza per questo rinunciare ai piaceri della tavola e della convivialità”.
Il manifesto
A leggerli i 10 punti del nuovo manifesto del cuoco moderno sembrano scontati, quasi banali: temi di cui di discute da anni. Soffermandosi sulle parole, sul loro ordine e sui 10 punti nel loro insieme si prospetta, invece, uno scenario nuovo, di cui la cucina e la filiera che vi sta dietro hanno grande bisogno: il recupero della cucina italiana e della dieta mediterranea. Tutti se ne riempiono la bocca e, a parole, i menù, ma pochi, poi, la praticano.
1. Proporre frutta e verdura, sia nella parte salata che in quella dolce, rispettando la stagionalità degli ingredienti;
2. Preferire l’olio extravergine d’oliva come grasso principale;
3. Non far mancare la pasta secca, segno distintivo dell’italianità nel mondo;
4. Utilizzare sempre di più le proteine vegetali – come i legumi – contribuendo al recupero delle varietà tradizionali presenti largamente in tutta Italia;
5. Preferire i prodotti da agricoltura e allevamenti sostenibili scegliendo tra quelli provenienti da filiera trasparente;
6. Valorizzare i piccoli artigiani locali, avendo però cura di preferire sempre il chilometro buono al chilometro zero;
7. Rispettare la territorialità e le tradizioni gastronomiche locali;
8. Porre attenzione ai disturbi alimentari dei propri ospiti e, in generale, proporre piatti equilibrati dal punto di vista nutrizionale;
9. Usare la tecnologia in cucina, non come fine, ma come strumento per migliorare le tradizioni;
10. Aprirsi al confronto con i colleghi a livello internazionale e favorire le contaminazioni interdisciplinari.