Marechiaro, poesia e bellezza a Posillipo decantata da Di Giacomo

La bellezza di Marechiaro.

“Quanno spónta la luna a Marechiaro,
pure li pisce nce fanno a ll’ammore…
Se revòtano ll’onne de lu mare:
pe’ la priézza cágnano culore…”

Questi i sublimi versi di una celeberrima poesia di Salvatore Di Giacomo, che decanta la leggiadria accattivante di uno dei luoghi più idilliaci e suggestivi della città partenopea: Marechiaro. A picco sulle acque del golfo di Napoli, nella culla dell’incantevole quartiere Posillipo, di fronte al “formidabil monte, sterminator Vesevo” di leopardiana memoria, sorge questo borgo che da tempi immemori si dondola tra le storie e le leggende che aleggiano su di esso, magnificando ancor di più la sua poetica amenità.
Eppure non fu la cristallina limpidezza del mare a valere l’appellativo di “Marechiaro”, al contrario la placida quiete che sovrastava quella località. Anticamente, infatti, esso era denominato come “mare planum”, locuzione latina che, con le influenze folkloristiche della lingua napoletana, divenne “mare chianu”; da qui “Marechiaro”.

Un canto d’amore.

Su quella stessa conca da cui si può ammirare il tripudio di bellezza della penisola sorrentina, dell’isola di Capri e del Vesuvio affaccia una minuscola finestra, sul cui davanzale un garofano emana sempre il suo profumo. Proprio quella finestra, nel lontano 1886, ispirò una delle canzoni più note del panorama musicale classico napoletano: “Marechiare”. Come si racconta in un articolo apparso sul “Corriere di Napoli” nel 1894, il poeta Di Giacomo, recatosi all’Aquarium di Napoli per una gita in compagnia di alcuni suoi amici, approdò proprio sulla costa di Marechiaro, fermandosi in un’osteria. In quegli spazi, prese forma l’appassionato canto d’amore per Carolina, la cui sagoma subitaneamente si stagliava dietro quella stessa finestra, a cui si rivolgevano gli ansimanti e smaniosi sospiri del cantore innamorato.

“Chi dice ca li stelle so’ lucente
nun sape st’uocchie ca tu tiene nfronte.”

Melodie struggenti.

In questa melodia così allegra, così struggente e così malinconica si fondono note che richiamano l’antica struttura della romanza e virtuosismi moderni che sposano ritmi vagamente arabeschi. Secondo quanto narra la leggenda, essa fu composta Francesco Paolo Tosti in cambio di una sterlina d’oro che questi diede a Salvatore Di Giacomo.

Il successo di “Marechiare”.

“L’ultimo suo lavoro è uno dei non pochi ricordi di quel delizioso Mezzogiorno, dove i canti popolari escono spontanei, melodici, e per imitarli ci vuole un’attitudine particolare, della quale il Tosti è provvisto abbondantemente. Il canto napoletano, da lui recentemente pubblicato, è uno dei suoi migliori per il carattere giusto, la snellezza e il fuoco che lo riscalda.” Questo il commento di Filippo Filippi sulla Gazzetta Musicale di Milano nel 1886. Fin da subito “Marechiare” decretò il suo successo, finendo quasi per oscurare la figura del poeta Di Giacomo, sempiternamente identificato proprio con il suo grande capolavoro. Ma la canzone ebbe la meglio, essendo tutt’oggi un grande classico della musica napoletana.

Clara Letizia Riccio

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