L’Illusione della solidità: la realtà come involucro dualistico. Il contatto che percepisci non è un tocco, ma l’eco di una repulsione.
Affronto un’esperienza familiare: il mondo che appare fatto di oggetti solidi, con confini che non lasciano spazio a dubbi. La tavola che tocco… questa resistenza acuta, quasi brutale, una barriera che sembra dirmi “fin qui, non oltre”. E mi chiedo come questa sensazione di solidità si sia radicata così profondamente nella mia esperienza, tanto da considerarla intrinseca alla materia stessa. Forse è solo un’interfaccia, un modo pratico che il cervello ha trovato per aiutarci a sopravvivere in questo ambiente.
Ma poi, quasi con un brivido, la fisica mi ha rivelato qualcosa di completamente diverso. Mi ha parlato di atomi — questi mondi minuscoli dove un nucleo, carico di energia positiva, è circondato da elettroni negativi in un movimento perpetuo che quasi mi fa girare la testa. Quando osservo due oggetti che si avvicinano, non riesco più a vedere una semplice collisione — no, ora vedo campi elettromagnetici che si intrecciano invisibilmente nell’aria.
Repulsione
La fisica mi sussurra una verità sconcertante: questa distinzione è un’illusione, l’illusione della solidità. A un livello fondamentale, la mia mano e la tavola sono solo manifestazioni di campi quantistici in costante interazione. Non c’è alcun confine — solo una transizione graduale tra campi di energia. La “barriera” che sento è un’interpretazione macroscopica di qualcosa di molto più sottile e misterioso.
Non-dualità
La non-dualità entra nella mia mente come una rivelazione: e se la realtà fosse unica, indivisibile, onnipresente? E se tutte queste distinzioni fossero solo illusioni, manifestazioni di un’unica verità fondamentale?
Maya, questo concetto della filosofia Vedānta, mi appare ora come una metafora perfetta: il velo dell’illusione che mi fa percepire un mondo di oggetti e individui distinti, mentre al di sotto di questo velo esiste solo Brahman. Quest’unica realtà non-duale che pervade ogni cosa.
La solidità diventa così un vivido esempio di come Maya opera: mi fa credere in una netta distinzione tra “sé” e “oggetto”, quando a un livello fondamentale questa distinzione semplicemente non esiste. È un’illusione nata dalla mia percezione limitata, un “edulcorante dualistico” che rende il mondo comprensibile e gestibile, ma forse meno vero.
E… quindi?
Mi fermo a considerare le implicazioni di tutto questo. Come cambia la mia visione sapendo di non essere veramente separato dagli altri? Sento crescere un senso di empatia, di compassione. Il mio isolamento si dissolve nella comprensione di questa interconnessione fondamentale. La mia consapevolezza si espande, abbracciando una visione più profonda del mondo.
E così, mentre la mia mano si muove sulla tavola in una serata qualunque, un sorriso si apre nel silenzio. Gli elettroni si respingono nell’invisibile, e in questa forza che sento sulla pelle si svela l’inganno più raffinato: la distanza è solo un’illusione necessaria, un velo sottile su questo involucro dualistico che è la realtà. Nello spazio apparente tra carne e legno, nel vuoto che sembra dividerci, siamo già una cosa sola.