Recensione Amos Tutuola: la potenza dell’irrazionale. “La mia vita nel bosco degli spiriti”, edito Adelphi.
Voglio iniziare questa recensione parlando chiaro sull’oggetto del mio recente, folgorante viaggio letterario: sto parlando dell’ebook “La mia vita nel bosco degli spiriti” di Amos Tutuola, nella traduzione di Adriana Motti, pubblicato da Adelphi. Edizione preziosa, non solo per il contenuto ma anche perché, devo dirlo con gratitudine, mi è stata gentilmente fornita proprio da Adelphi per potervela raccontare. La sorpresa più grande, aprendo questo file digitale qui nel 2025, è stata scoprire che non conteneva solo il racconto del bambino perduto nel bosco degli spiriti, come il titolo principale suggerirebbe, ma anche il suo fondamentale predecessore: “Il bevitore di vino di palma”. Un due-per-uno inaspettato che ha trasformato la lettura in un’immersione profonda e destabilizzante.

Recensione di Amos Tutuola. Armato del mio reader, ho deciso di partire dalle origini, da “Il bevitore di vino di palma”. E ragazzi, che inizio! È come essere risucchiati da un vortice narrativo fin dalla prima pagina. Seguiamo un personaggio la cui vita è interamente dedicata a un piacere smodato, quasi sacro: bere ettolitri di vino di palma. Quando il suo amato spillatore personale, l’unico capace di garantirgli la qualità e quantità desiderate, muore tragicamente cadendo da una palma, la sua reazione è tanto logica nel suo mondo quanto assurda per il nostro: partire alla ricerca dello spillatore defunto nella Città dei Morti per convincerlo a tornare.
Da qui si dipana un’odissea che sfida ogni logica occidentale. Attraversiamo il “bush”, questa frontiera pulsante tra mondo umano e soprannaturale, incontrando creature partorite da un’immaginazione che sembra non conoscere limiti: teschi che ti affittano parti del corpo mancanti, bambini terrificanti nati da un pollice, spiriti assemblati come il “Gentiluomo Completo” (che è tutto tranne che gentile o completo nel nostro senso), città con regole ferree e letali. Il nostro eroe si muove in questo paesaggio da incubo con un pragmatismo quasi infantile, spinto da una sete che è motore primario, quasi una dipendenza esistenziale. Si avverte fortissima l’influenza dell’oralità yoruba, con le sue storie circolari, i suoi miti incarnati. La lingua di Tutuola, filtrata dalla traduzione attenta di Adriana Motti, conserva quella cadenza unica, quell’inglese piegato e reinventato, che rende tutto incredibilmente vivido, quasi tangibile, nonostante l’assoluta stranezza degli eventi. Si ha la sensazione di ascoltare, più che di leggere.
Ancora scosso da questa prima avventura, sono passato a “La mia vita nel bosco degli spiriti”. Se il “Bevitore” aveva i toni di una quest picaresca e allucinata, qui l’atmosfera si carica di un’angoscia più profonda, più esistenziale. Il protagonista è un bambino di appena sette anni. Per fuggire dalla violenza del mondo “reale” – la matrigna crudele, la guerra che incombe – si rifugia dove non dovrebbe: nel bosco degli spiriti. Ma non è una breve incursione: vi rimarrà bloccato per ventiquattro, lunghissimi anni. Qui, la parola chiave non è viaggio, ma prigionia.
L’empatia per questo bambino è immediata, quasi fisica. Come si fa a non sentire una stretta al cuore seguendo le sue disavventure? Subisce trasformazioni orrende, viene venduto come schiavo tra spiriti, costretto a matrimoni impossibili con creature indescrivibili (la “donna-fantasma completa”, la “Television-handed ghostess”… icone di un orrore quasi surreale), si nasconde, fugge, sopravvive a stento in città fantasmatiche governate da logiche perverse. È la cronaca di una lotta per la sopravvivenza disperata, combattuta con l’ingenuità e la tenacia di chi non ha altro. Un racconto potentissimo sulla perdita dell’innocenza, sulla resilienza, ma anche sulla solitudine più radicale. Lo stile di Tutuola rimane essenziale, quasi spoglio: descrive le atrocità più indicibili con lo stesso tono con cui racconterebbe un evento banale. E questa assenza di commento emotivo esplicito rende l’orrore ancora più penetrante, lasciando al lettore il compito di sentire tutto il peso del dramma.
Aver letto entrambi i romanzi consecutivamente in questo ebook Adelphi ha permesso di apprezzarne appieno la forza congiunta. Sono chiaramente figli dello stesso universo visionario, profondamente radicati nella cosmologia Yoruba ma filtrati attraverso un’immaginazione unica e modernissima nella sua rottura degli schemi. Il “bush”, gli spiriti, la magia permeano entrambi. La lingua è inconfondibile. Eppure, le sfumature cambiano: il primo conserva un’energia più irrequieta, quasi avventurosa; il secondo sprofonda in una malinconia più cupa, in un senso di oppressione costante. Insieme, offrono uno sguardo irripetibile sul rapporto tra uomo, natura e soprannaturale, sulla fluidità dei confini tra vita e morte, reale e immaginario.
Leggere queste storie nel 2025, su un dispositivo elettronico, grazie alla cortesia di Adelphi, crea un contrasto stimolante: la tecnologia che veicola racconti così ancestrali. Ma la loro forza è tale da superare qualsiasi medium. Non sono state letture “facili”. Chiedono di sospendere il giudizio, di accettare l’incomprensibile, di lasciarsi cullare (o sballottare) da un ritmo narrativo che a volte può sembrare ripetitivo, ma che è funzionale a creare un effetto ipnotico e straniante.
Alla fine, chiudendo (virtualmente) l’ebook, la sensazione è quella di riemergere da un sogno lucido, intenso e profondamente perturbante. Ti restano addosso le immagini, i suoni gutturali degli spiriti, il sapore quasi fisico di quel vino di palma e l’odore di quel bosco terribile. Questa specifica edizione Adelphi, riunendo i due capolavori, rappresenta un’opportunità imperdibile per scoprire o riscoprire un autore fondamentale, capace di regalarci una voce che non assomiglia a nessun’altra. È stata un’esperienza “fresca”, sì, nel senso più vero: qualcosa che ti scuote dalle fondamenta, ti costringe a ripensare cosa sia la letteratura e ti lascia con più domande che risposte, ma immensamente più ricco.