L’Iguana di Anna Maria Ortese: viaggio oltre le apparenze. Tra verità nascoste e inganni dei sensi.
L’Iguana di Anna Maria Ortese. Ogni volta che rileggo questo passaggio delle Upanishad, sento un brivido: “Un uomo che non conosce la Verità immagina: ‘Io sono vivo’. Proprio come si scambia una corda per un serpente o un bastone ingioiellato per una preziosa verga.”
Mi chiedo quante volte mi sia capitato di scambiare corde per serpenti. Quante volte l’illusione mi ha fatto vedere pericoli dove non c’erano, o mi ha spinto a rincorrere miraggi che sembravano così preziosi. È incredibile come questa saggezza antica continui a illuminare le nostre giornate.
Leggendo “L’Iguana” di Anna Maria Ortese, mi sono imbattuto in un passaggio che mi ha tolto il fiato: “Sentì che il suo viaggiare era stato immobilità, e ora, nella immobilità, cominciava il vero viaggiare. Sentì poi che questi viaggi sono sogni, e le iguane ammonimenti. Che non ci sono iguane, ma solo travestimenti, ideati dall’uomo allo scopo di opprimere il suo simile.”
La stessa verità delle Upanishad, detta in altro modo. Mi sono perso nella storia di Daddo, questo architetto lombardo che arriva a Ocaña cercando terreni da comprare e trova invece un mistero che lo trasforma.
C’è un dialogo che non mi dà pace. Daddo parla con Estrellita, questa creatura metà donna e metà iguana:
“Volevate… dirmi qualcosa, o senhor?”
“Sì, Estrellita. Sei mai stata sposata?”
“No, o senhor”
“E non ti piacerebbe… con un bel velo… venire in Europa?”
La creaturina lo fissa, ride silenziosamente, poi seria: “No, o senhor”
“Perché?” chiede il conte, quasi un lamento.
“Perché no.”
E poi Daddo riflette: “Io non sto bene, però. Eccomi, in piena notte, nella deserta Ocaña, avvicinarmi a un pollaio e chiedere a una tribolata iguanuccia se vorrebbe sposarsi e venire con me in Europa… Di sposi ve ne sono fin troppi, sulla terra, e di padri, per quanto ne so, nessuno. Anche in questo caso, però, l’ostacolo rimane: può, infatti, uno spirito immortale farsi intendere dalla irrazionale Natura?”
Non è forse questa la domanda che ci facciamo tutti, quando proviamo a guardare oltre le apparenze? Quando cerchiamo di vedere l’anima dietro la forma, la verità oltre il velo di maya?
La Ortese ha creato qualcosa di unico. Come dice Giovanna Caltagirone, nel suo romanzo “gli elementi naturali incarnano sempre anche una dimensione metafisica”. L’iguana non è solo un’iguana, proprio come nella metafora vedica il serpente non è davvero un serpente.
Questo libro del 1965 parla ancora con una forza sorprendente. Di solitudine, di emarginazione, del nostro rapporto distorto con la natura. Ma soprattutto di come le apparenze ci ingannino, di come costruiamo muri illusori tra noi e gli altri.
Penso a quante volte giudichiamo, temiamo, escludiamo basandoci su quello che i nostri sensi ingannati ci mostrano. L’iguana della Ortese, come la corda-serpente delle Upanishad, ci invita a guardare più in profondità, a vedere oltre il velo dell’illusione.