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Romanzo biografico Domenico Scarlatti: Focus su La fuga del gatto

Esplosione di musica, intrighi di corte e passioni umane.

Romanzo biografico Domenico Scarlatti: Focus su La fuga del gatto. Esplosione di musica, intrighi di corte e passioni umane.

Romanzo biografico Domenico Scarlatti. Ho aperto “La fuga del gatto” (Palombi Editori, 2023), senza sapere cosa aspettarmi, e me lo sono divorato come se fosse un thriller. No, non è la solita biografia polverosa: è un’esplosione di musica, intrighi di corte e passioni umane che ti trascina nel ‘700 con una forza pazzesca. Andrea Frova e Mariapiera Marenzana non scrivono di Domenico Scarlatti, lo respirano. E alla fine del libro, anche tu ti ritrovi a pensare alle sue sonate come a pezzi di un diario segreto.

Prodigio

Partiamo da Napoli, dove un bambino prodigio impara a far cantare il clavicembalo sotto gli occhi severi del padre. Ma qui non ci sono solo note: ci sono terremoti che scuotono l’anima, pestilenze che ti fanno sentire il puzzo della morte, e guerre che fanno da sfondo a un’Europa in subbuglio. La scrittura è vivida, quasi cinematografica: quando Scarlatti incontra Cristofori a Firenze e scopre il fortepiano, io ho sentito la stessa elettricità di chi tocca per la prima volta un iPhone. E poi Venezia, con i suoi canali che riflettono le luci di Vivaldi e Haendel—ma anche le osterie dove la musica popolare si mescola al vino.

La scena dello scontro con Haendel a Roma è una “beef” (competizione musicale) alla Drake vs. Kendrick, ma settecentesca: organo vs. clavicembalo, due giganti che si sfidano a colpi di note. E mentre Scarlatti perde all’organo, capisci che la sua grandezza sta nell’umiltà di non fermarsi mai. Poi il salto in Portogallo, dove diventa il maestro di Maria Barbara, una principessa (poi regina) che non è solo un’allieva, ma una musa. Le loro lezioni sono dialoghi d’amore—platonico, ma intenso—tradotti in 555 sonate. Quando scopri che quelle composizioni nascono come “esercizi”, ti viene voglia di ringraziare Barbara per averle spinte fuori dal suo genio.

“La fuga del gatto” – Palombi Editori

Il libro ha un ritmo jazz: alterna momenti storici documentati (l’amicizia con Farinelli, i legami con la politica) a episodi di pura invenzione che però sembrano veri. Come quando Scarlatti ascolta le melodie popolari iberiche e le trasforma in arte senza tempo. Gli autori non hanno paura di mostrarlo fragile: un uomo che cerca la bellezza in un mondo pieno di caos, come noi oggi tra social e guerre. E mentre lo segui nella Madrid degli ultimi anni, capisci che ogni sonata è un tentativo di catturare l’inafferrabile – un istante di perfezione in un’esistenza segnata dagli esili.

Fuga musicale

E il titolo? “La fuga del gatto” rimane un mistero fino alla fine, ma forse è un gioco tra la fuga musicale e l’istinto felino di Scarlatti—libero, curioso, sempre in movimento. Le illustrazioni poi sono come piccole pause tra un capitolo e l’altro, quasi spartiti visivi. E quelle pagine dove la musica si fa corpo – le dita che corrono sui tasti, il respiro che si sincrona con gli accordi – ti fanno desiderare di avere un clavicembalo in salotto.

Uscito dal libro, ho fatto due cose: cercato le sue sonate su Spotify (e sì, “K. 141” ora è nella mia playlist) e riso pensando a quanto sarebbe stato influencer oggi, tra challenge musicali e stories alla corte di Spagna. Questo romanzo non è solo per appassionati di classica: è per chi crede che la storia sia fatta di persone, non di date. E Domenico Scarlatti, qui, è più vivo che mai. Persino il suo silenzio – quelle carte bruciate, quelle lettere perdute – diventa un’assenza parlante, un invito a immaginare.

Voto? 4.8 stelline su 5— solo perché non c’è una colonna sonora inclusa!. Ma forse è meglio così: le sue note, come i gatti del titolo, devono restare libere di scappare dalle pagine e infilarsi direttamente nelle orecchie.

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