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Capire il rapporto tra Leopardi e Napoli: riflessioni e analisi

Connessione tra scritti e vita vissuta.

Capire il rapporto tra Leopardi e Napoli: riflessioni e approfondimenti. Connessione tra scritti e vita vissuta.

Nascere e crescere a Napoli significa vivere tra storia, cultura e contraddizioni, dove tutto si fonde in un’esperienza particolare. Attraverso alcune opere di Leopardi, provo a immaginare come il suo pensiero possa aver dialogato con la mia città.

Ho approfondito lo studio degli scritti di Leopardi, da quelli giovanili a quelli completati durante il suo soggiorno a Napoli, e alcuni testi mi hanno colpito in modo particolare. Mi sono interrogato su come il suo pensiero si sia confrontato con la realtà napoletana. Questo esercizio di immaginazione è basato sulle connessioni che ho trovato tra le sue riflessioni e la sua esperienza nella città partenopea.

Il “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani”: la lente della critica sociale

Il “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” offre uno spaccato impietoso della società del tempo, una radiografia delle sue debolezze morali e civili. Leopardi non risparmia critiche alla corruzione, all’indolenza, alla superficialità e all’eccessivo attaccamento ai piaceri materiali che caratterizzavano, a suo dire, la società italiana. Questo testo, scritto nel 1824, funge da lente attraverso cui Leopardi osserva anche la realtà napoletana, che, con la sua vitalità esuberante e la sua propensione alla “gola” e alla lussuria, poteva apparirgli come un esempio emblematico di questa decadenza.

A Napoli, questa critica si fa ancora più incisiva, poiché Leopardi si trova di fronte a una realtà dove la ricerca del piacere e l’ostentazione della ricchezza convivono con la miseria e il degrado. L’attitudine godereccia dei napoletani, la loro passione per il cibo, per le feste e per la vita mondana, poteva apparire a Leopardi come una fuga dalla realtà, una sorta di anestetico di fronte alle sofferenze della vita. Tuttavia, è importante sottolineare che Leopardi non si limitava a una condanna moralistica. Il suo sguardo era più profondo e complesso. Egli comprendeva che l’attaccamento ai piaceri terreni poteva essere una reazione alla sofferenza e alla precarietà dell’esistenza, una ricerca di consolazione in un mondo dominato dal dolore e dalla morte. Questa consapevolezza, secondo me, rende la sua critica non solo più lucida, ma anche più umana e comprensiva.

I “Paralipomeni della Batracomiomachia”: l’arma dell’ironia

I “Paralipomeni della Batracomiomachia” rappresentano un’arma potente nelle mani di Leopardi: l’ironia. Quest’opera, scritta durante il soggiorno napoletano, ma con radici precedenti, è un poemetto eroicomico che parodia il genere epico. Attraverso la parodia, Leopardi mette alla berlina i vizi e le debolezze umane, con uno sguardo al tempo stesso critico e divertito. Si immagina Leopardi che, pur non condividendo appieno lo stile di vita napoletano, ne cogliesse anche l’aspetto pittoresco e a tratti grottesco, trovando in esso materia per la sua satira. Questa capacità di osservare la realtà con distacco ironico, di smascherarne le contraddizioni attraverso il sorriso, è una chiave di lettura fondamentale per comprendere il suo rapporto con Napoli.

L’ironia dei “Paralipomeni” non è fine a sé stessa, non è semplice divertimento. È uno strumento di analisi, un modo per mettere in luce le incongruenze del mondo e la vanità delle aspirazioni umane. A Napoli, questa ironia si carica di nuove sfumature, diventando quasi una forma di difesa di fronte a una realtà che, pur affascinante, gli appariva spesso caotica e contraddittoria. Si immagina Leopardi che, assistendo alle dispute tra i personaggi del poemetto, ritrovasse echi delle discussioni e delle polemiche che animavano la vita culturale napoletana, trasformandole in una sorta di tragicommedia.

Immagine di proprietà di Crono.news. – Intrappolato nell’altrove: la condanna di Leopardi alla sua straordinaria sensibilità, sospeso tra cielo e terra, eternamente separato da quella vita che può solo osservare ma mai pienamente vivere.

L’ironia, quindi, non è solo un tratto stilistico dei “Paralipomeni”, ma una vera e propria lente attraverso cui Leopardi osserva il mondo, e in particolare Napoli. È un modo per prendere le distanze da una realtà che lo attrae e lo respinge allo stesso tempo, per esprimere il suo disincanto senza rinunciare a una sottile forma di umorismo. Si immagina Leopardi che, mentre scriveva i suoi versi satirici, sorridesse amaramente di fronte alle debolezze umane, trovando in quel sorriso una forma di consolazione e di comprensione.

47 Cervi, bufali, scimmie, orsi e cavalli,
ostriche, seppie, muggini ed ombrine,
oche, struzzi, pavoni e pappagalli,
vipere e bacherozzi e chioccioline,
forme affollate per gli aerei calli
empiean del tetro loco ogni confine,
volando, perché il volo anche è virtude
propria dell’alme di lor membra ignude.

Leggendo questi versi dell’episodio di Dedalo e Leccafondi all’interno dei Paralipomeni, non posso fare a meno di pensare a Napoli. Le ostriche e i muggini mi portano dritto ai vicoli di Pignasecca, all’odore di mare e alle grida dei pescivendoli. I pavoni e i pappagalli? Li vedo nei cortili dei palazzi nobiliari, dove ancora oggi si respira un’aria di antica eleganza. E questi “aerei calli” affollati di anime mi ricordano i nostri vicoli che si arrampicano verso il cielo, dove tutto si mescola: la miseria e la nobiltà, il sacro e il profano. È come se Leopardi avesse catturato l’anima di Napoli in questo volo liberatorio, dove ogni creatura, finalmente leggera, danza tra cielo e terra.

Il rapporto con la natura: da benigna a matrigna, fino all’indifferenza

Il rapporto di Leopardi con la natura è complesso e in continua evoluzione. Da una visione iniziale di una natura benigna, fonte di illusioni e di consolazione, si passa a una percezione di una natura matrigna, indifferente al destino dell’uomo. A Napoli, questa concezione si carica di nuove sfumature, assumendo contorni ancora più drammatici. La presenza imponente del Vesuvio, le frequenti scosse telluriche, la storia della città segnata da eruzioni e terremoti, offrono a Leopardi una testimonianza tangibile della potenza distruttiva della natura. Ma è soprattutto l’esperienza del colera, che colpì Napoli durante il suo soggiorno, a segnare profondamente la sua visione.

Il colera, con la sua inesorabile diffusione e le sue innumerevoli vittime, divenne per Leopardi la prova definitiva dell’indifferenza della natura verso il destino umano. Una forza cieca e implacabile che colpiva senza distinzione, portando via giovani e vecchi, ricchi e poveri. Questa esperienza tragica, vissuta in prima persona a Napoli, contribuì a consolidare la sua visione di una natura non solo matrigna, ma anche profondamente ostile. Il Dialogo della Natura e di un Islandese, con la sua rappresentazione di una natura impassibile di fronte alle sofferenze umane, trova a Napoli una tragica e concreta conferma. La malattia e la morte, così presenti nella vita napoletana del tempo, diventano per Leopardi metafore della condizione umana, segnata dalla precarietà e dal dolore.

Fragilità

L’esperienza del colera a Napoli non solo rafforzò la visione pessimistica di Leopardi sulla natura, ma influenzò anche la sua riflessione sulla condizione umana. La fragilità dell’esistenza, la brevità della vita, l’assurdità del dolore, diventano temi centrali nella sua opera successiva. Il colera, quindi, non fu solo un evento contingente, ma un’esperienza che segnò profondamente il suo pensiero e la sua poetica. La natura, da fonte di illusioni, si trasforma definitivamente in una forza distruttiva, indifferente al destino dell’uomo, una forza che a Napoli si manifestò con particolare violenza.

In particolare durante il suo soggiorno a Torre del Greco nel 1836 presso Villa Ferrigni (oggi Villa delle Ginestre), questa concezione si carica di nuove sfumature. La vista quotidiana del Vesuvio dalla sua dimora, le occasionali scosse telluriche, il vivere alle pendici di questa forza naturale tanto affascinante quanto minacciosa, potrebbero aver alimentato le sue riflessioni. Non è casuale che proprio qui compose “La ginestra”, dove il fiore che cresce sulle pendici del vulcano diventa simbolo della resistenza umana di fronte all’indifferenza della natura.

Un napoletano che cerca di comprendere Leopardi

Per me, napoletano, confrontarmi con lo sguardo di Leopardi sulla mia città significa esplorare un’immagine complessa e sfaccettata. Significa osservare Napoli attraverso una lente particolare, quella di un intellettuale che forse ha trovato qui nuovi spunti per le sue riflessioni sull’uomo e sul mondo. E forse, proprio Napoli, con la sua vitalità, le sue passioni e le sue contraddizioni, può aver contribuito ad arricchire il suo pensiero di nuove sfumature.

“Caggiono i regni intanto, passan genti e linguaggi: ella nol vede; e l’uom d’eternità s’arroga il vanto”

Questi versi della Ginestra non sono solo una riflessione sulla natura indifferente, ma incarnano una verità più ampia sulla condizione umana. L’illusione della nostra centralità nell’universo, la presunzione della nostra eternità, si infrangono contro questa consapevolezza leopardiana che, paradossalmente, invece di paralizzarci, ci spinge a una comprensione più lucida della realtà.

Rileggere Leopardi significa confrontarsi con uno sguardo che trascende il suo tempo e il suo spazio. La sua esperienza napoletana, con le sue contraddizioni e la sua intensità, diventa paradigma di una più ampia riflessione sulla condizione umana. Il suo pensiero ci invita ancora oggi a superare le illusioni consolatorie, a guardare il mondo con quella stessa acutezza intellettuale che gli permise di cogliere, nelle manifestazioni più concrete della vita quotidiana, le questioni universali dell’esistenza.

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