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Riflessioni sul femminicidio: comprenderne le dinamiche

La dipendenza emotiva e l'incapacità di accettare la fine della relazione.

Riflessioni sul femminicidio: comprenderne le dinamiche. Non può esserci amore senza bene. 

Riflessioni sul femminicidio. In Italia l’omicidio è l’uccisione di un essere umano; l’uxoricidio è invece l’uccisione della moglie con l’obiettivo di preservare geneticamente la progenie; il femminicidio è invece l’aggressione e la soppressione di una donna precedentemente amata; questo è uno di delitti più raccapriccianti che l’essere umano possa agire. Si sopprime l’oggetto d’amore che è venuto meno all’impegno stabilito, come se nel momento del fidanzamento o del matrimonio si acquisisse il possesso della persona. Si sopprime colei con la quale si è iniziato a costruire una relazione prolifica e finalizzata alla condivisione della vita e all’educazione dei figli.

È ovvio condannare questa assurda situazione in cui si passa dall’amore, dall’intima adorazione, dalla inter-dipendenza affettiva, dalla comunione di programmi essenziali per la nostra stessa vita, al conflitto e poi all’aggressione finale cui spesso segue il suicidio del maschio. Proviamo a comprendere, però, quale dinamica psicologica è sottesa a quest’atto che sembra essere sempre più frequente nella nostra società. Cominciamo dalle dinamiche del rapporto “normale”, nel pieno cioè del suo funzionamento: che relazione c’è tra l’uomo e la donna? È un rapporto paritario con diritti e doveri, con un equo scambio di disponibilità o è un rapporto in cui un uomo in cambio dell’accettazione da parte della donna agisce tutti i cambiamenti e gli adattamenti comportamentali che gli vengono richiesti? C’è un reciproco donarsi o c’è una dinamica di potere in cui il maschio “guadagna” o “merita” l’attenzione della donna? L’investimento affettivo del maschio è equivalente a quello della femmina?

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L’uxoricidio veniva giustificato a causa della necessità di unicità della trasmissione genetica nella procreazione che può essere mantenuta solo con il possesso esclusivo della donna. In Pakistan, ad esempio, è ancora così. Ma in un rapporto paritario come noi viviamo oggi la coppia, in una relazione d’amore, cosa non funziona, tanto da provocare l’aggressione mortale? Perché è impossibile accettare la fine della relazione? Partiamo dalla fine. Proviamo ad immedesimarci nello stato emotivo di un uomo che si tolga la vita dopo aver soppresso la moglie e magari anche i figli. È un uomo che non ha più la capacità di vivere e si sente ucciso dalla decisione di interrompere la coppia, casomai anche per motivi importanti, evidenti a tutti. Come è possibile che dinanzi alla fine di una relazione sentimentale un uomo non trovi una via per ricominciare a vivere? Una relazione, tossica di fatto, nuoce anche a quello che poi diventerà l’aguzzino…. Relazione che spesso è in crisi da tempo, che non funziona più.

Riflessioni sul femminicidio. Ci troviamo d’avanti ad una dinamica di innamoramento che diventa soggezione al potere se io sacrifico me per te. Se io considero la mia vita solo in funzione del tuo assenso, della tua accettazione di me come compagno, come oggetto di amore. La canzone di de Andrè “La ballata dell’amore cieco” dipinge bene la relazione ricattatoria. Quindi possessività totale nella coppia in cui il partner è di fatto oggetto d’amore. Non soggetto d’amore. Il ricatto affettivo è il secondo elemento da sottolineare. Nel profondo ci siamo scambiati la vita e se tu mi abbandoni, ritiri cioè la tua disponibilità ad accettarmi come partner, a me nulla rimane, non la mia vita, non la tua vita e nemmeno la forza di ricominciare. Allora mi uccido e con me muore tutto ciò che abbiamo iniziato a costruire, tutto ciò che rientra nel concetto di noi.

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Dove si può cambiare la narrazione di un rapporto di amore, per non incorrere in questo psicotico scambio di identità che priva il più dipendente della sua stessa identità esistenziale? Non serve in questo scritto stabilire chi è il colpevole, questo lo sappiamo già. Serve comprendere il meccanismo che provoca tale tragica conclusione di un rapporto. E’ necessario a mio avviso comprendere qual’è Il meccanismo che trasforma un essere umano “normale” in un brutale e spietato assassino. Questo potrebbe servire quantomeno ai più giovani ad imparare a rimanere soggetti, persone, e non oggetti, cose cioè possedibili e considerare soggetto parimenti e non oggetto il mio compagno, la mia compagna, allo scopo di non esporsi al pericolo che un idillio fantastico si trasformi in un’orrenda tragedia. Conservare l’indipendenza emotiva è il secondo passaggio. Bisogna cercare di mantenere nella coppia l’integrità delle singole personalità, allo scopo di rispettare la relazione viva e feconda. L’amore termina là dove si instaura una soggezione o una dipendenza emotiva.

Riflessioni sul femminicidio. Non può esserci amore senza bene e il bene è semplicemente l’accettazione costruttiva dell’altro: ti voglio bene quindi con te costruirò la nostra vita; con te, non cercando di cambiarti o di sottometterti, ma con te, con ciò che realmente sei. La mia personalità incontra la tua personalità e, utilizzando i nostri punti di forza, viviamo la coppia e la famiglia senza distorsioni di potere, semplicemente io con te, tu con me, non ciò che io vorrei da te in cambio di una parte di me. L’attenzione specifica dei due soggetti che formano la coppia deve essere pertanto quella di non appartenere, ma di stare insieme e quella di non chiedere per sè al partner un ruolo che non gli appartiene, quello di madre o di padre, perché questo squilibrio può essere solo foriero di sofferenza e nell’estremo, di morte.

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Il maternage che istintivamente alcune donne instaurano con il proprio compagno, per quanto frutto di un reciproco dono, crea una dipendenza che vede più in alto la donna, con il suo ruolo di porto accogliente, di guida, di mater matuta. Per quanto protetta e guidata, la donna non rinuncia istintivamente alla posizione di colei che sceglie il suo uomo e lo ha accettato al suo talamo, in cambio della devozione assoluta. Quando il rapporto si deteriora e termina, quando le esigenze individuali non sono più collimanti, la donna/madre ricostruisce altrove il suo nido ma il compagno/figlio rimane viceversa orfano, privo di riferimenti libidici ed affettivi e quindi decede nell’anima e, dopo il femminicidio, anche nel corpo. Queste riflessioni, lungi dall’essere esaustive, potrebbero servire ad accendere in ciascuno di noi l’attenzione sull’importanza di coltivare un rapporto umano, nella fattispecie un rapporto di coppia, nel pieno rispetto delle singole personalità e dell’autonomia che parte dalla consapevolezza che io non posso essere posseduto da nessuno e non posso possedere nessuno. Un rapporto adulto in cui i due soggetti si scambiano il bene.

Dott. Mauro Idone

Responsabile della U.O.C. (Unità Operativa Complessa) di Neurologia presso il Presidio Ospedaliero San Giovanni Bosco, Napoli.

 

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