Napoli, alla fine del ‘500, contava una popolazione di oltre 300.000 abitanti ed era caratterizzata da una massiccia immigrazione dalle campagne e dai centri minori del Regno.
Nella seconda metà del Quattrocento, la popolazione Rom di Napoli fu in grado di trarre vantaggio dalle evoluzioni politiche e sociali dell’età aragonese. Tuttavia, questo contesto di cambiamento rapido e relativamente favorevole alla loro integrazione nella società sedentaria fu destinato a un’altrettanto rapida involuzione.
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La città, che alla fine del secolo successivo contava una popolazione di oltre 300.000 abitanti, era caratterizzata da una massiccia immigrazione dalle campagne e dai centri minori del Regno, creando un vero e proprio “tornado” di immigrati, tra cui molti vagabondi, poveri ed emarginati. La situazione fu ulteriormente aggravata dal flusso continuo di popolazioni slave dai Balcani dopo la caduta della città di Morone in Morea nel 1534 e dagli attacchi ripetuti dei Turchi alle isole veneziane dello Ionio e dell’Egeo. Il governo spagnolo riservò sgravi fiscali e provvisioni annue di 5.000 ducati ai greci che seguirono Carlo V da Corone nel 1540, ma per molti altri immigrati, il crescente numero creò ulteriori sfide.
La crescita tumultuosa della città generò numerosi inconvenienti pubblici, sanitari, giudiziari che resero sempre più difficile l’integrazione dei Rom con le comunità locali. Nel 1560, il viceré duca d’Alcalà chiese di imporre un blocco all’arrivo di altri Rom ma la sua proposta fu respinta. Tuttavia, le autorità iniziarono a controllare e disciplinare molte di queste “indesiderate” presenze.
Gli anni 1559-1585 segnarono un momento di straordinario inasprimento e confluenza tra l’azione di governo vicereale e l’iniziativa delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti di popolazioni Rom, ebrei, vagabondi e rinnegati, ora irrimediabilmente associati ai caratteri della mobilità sul territorio e, quindi, della ‘pericolosità’ sociale. Nonostante i bandi di espulsione emessi dall’autorità vicereale in quegli anni, gruppi di Rom continuarono a riversarsi nella capitale e nelle province del Regno. Queste comunità alloggiavano a ridosso delle porte della città, in tende o altri ricoveri di fortuna, praticando il commercio ambulante di chincaglierie o ricorrendo ad espedienti ed elemosine, in maniera non dissimile ad altre comunità di zingari gravitanti in quei tempi intorno a città come Roma o Palermo.
La Prammatica del 12 aprile 1585, che vietò ai Rom di rimanere a Napoli. Nonostante questo divieto fosse solo l’ultimo di una serie di provvedimenti restrittivi emessi contro i Rom a Napoli nel corso di circa trent’anni, la loro presenza nella periferia della città è continuata nel corso degli anni. Questo perché i divieti erano inefficaci a causa delle molte opportunità offerte dalla città, come l’approvvigionamento sicuro di grano e pane anche durante le carestie, l’opportunità di trovare lavoro temporaneo e il privilegio fiscale. Inoltre, il bando del 1585 prevedeva la possibilità di deroga all’espulsione per coloro che avevano ottenuto una licenza particolare da parte delle autorità competenti. Molti Rom ne approfittarono, tanto che nel 1591, durante il censimento della popolazione ordinato dal Viceré Conte di Miranda Giovanni de Zuniga, la loro presenza era così rilevante da denominare un intero borgo, il “borgo de zingari” posto tra vico Casanova e Porta Capuana La zona copriva la chiesa e il conservatorio di S. Crispino, S. Pietro ad Aram, la porta Nolana, S. Maria della Grazia, S. Maria della Scala e il Lavinaio fino a S. Maria delle Grazie.
La presenza dei Rom era ben consolidata nel quartiere delle Case Nuove di Napoli. Nel 1591, infatti, ogni capofamiglia Rom ricevette una cartella con cui poteva acquistare il pane a prezzo calmierato nelle tre rivendite del quartiere. Nel corso del XVII secolo, i Rom continuarono ad abitare fuori dalle mura della città, in una zona che prese il nome di Cingari. Secondo il canonico Carlo Celano, nel borgo degli zingari tra le Case Nuove e il borgo di S. Antonio, vivevano più di cento famiglie, ognuna guidata da un capo chiamato Capitanio.
Nonostante l’impulso ciclico di nuovi insediamenti, la zona tra vico Casanova e il largo antistante Porta Capuana continuò ad essere conosciuta come “gli Zingari” nei secoli XVII-XIX. Ancora agli inizi del Novecento, la via degli Zingari era presente nella toponomastica storica di Napoli.
Fonte: Elisa Novi Chavarri, Sulle tracce degli zingari Il popolo rom nel regno di Napoli, secoli XV-XVIII
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