Foto di José Basttos.

Romanzo storico e Regno delle Due Sicilie: Manzoni è morto di Stefano Cortese

Romanzo storico e Regno delle Due Sicilie: intervista a Stefano Cortese. Manzoni è morto è il quarto romanzo storico del giovane scrittore napoletano.

Romanzo storico e Regno delle Due Sicilie: Stefano Cortese, a soli 30 anni, è già al quarto o romanzo storico pubblicato dopo “La miglior compagnia” del 2014 e “Virgilio o la terra del tramonto del 2015 e “L’osco” (2019). Tuttavia la sua formazione di scrittore inizia con una raccolta di poesie, dal titolo “Alla murena e al cielo di pioggia”, pubblicata nel 2009. E nel suo nuovo romanzo Manzoni è morto (edito Homo Scrivens), è infatti evidente l’utilizzo di un lessico estremamente ricercato, raffinato, sia nella descrizione dettagliata delle ambientazioni che del profilo psicologico dei personaggi. Ci piace definire la sua scrittura “di limo, e di anima”, perché intrisa di natura e celebrativa dei sentimenti umani come materia viva e pulsante , da un lato; e dall’altro densa di poesia e filosofia. Ecco alcune domande poste allo scrittore:

Stefano Cortese – “Manzoni è morto” – Edito Homo Scrivens.

Come è maturata l’idea di un romanzo ambientato negli ultimi anni del Regno delle Due Sicilie?

“È strano, ma al principio Stefano Turati, il protagonista di Manzoni è morto, non era napoletano. Quando iniziai a dargli voce, come protagonista di un racconto intitolato “Uno di Mille”, Turati proveniva, infatti, da Guastalla, una cittadina in provincia di Reggio Emilia, assai importante nel Rinascimento. L’ambientazione emiliana non era casuale: all’epoca, quando avevo diciassette anni, il mio ideale narrativo era “Novecento” di Bernardo Bertolucci. Il panismo della Bassa era per me di vitale, imprescindibile importanza nel confezionare una storia convincente. È stato così almeno fino al mio “Virgilio o la terra del tramonto”. Tuttavia, quando decisi di voltare la mia novella in romanzo, capii che non potevo raccontare ciò che, in sostanza, non mi apparteneva. Fu così che decisi di far Stefano Turati napoletano, e che la sua movimentata vicenda fosse allegoria della decadenza del Regno delle Due Sicilie. La storia dei Borbone di Napoli afferisce anch’essa alla mitologia della Finis Austriae: come per gli Asburgo, come per i Romanov, anche se in circostanze assai meno tragiche, l’epopea della caduta dei Borbone è un espediente narrativo estremamente affascinante. La nostalgia, l’ineluttabilità, la fine fatidica che ha coinvolto certe monarchie sono una meravigliosa fucina di storie, almeno sin dalla morte di Gilgamesh o dalla caduta di Troia.”

Inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici, di Salvatore Fergola.

Hai avuto come riferimento Carlo Alianello, capostipite del revisionismo del Risorgimento o altri studiosi o scrittori in particolare?

Romanzo storico e Regno delle Due Sicilie: “Ammetto di conoscere Carlo Alianello, ma di non aver mai letto nulla. Ho da molto tempo L’alfiere che mi attende bonario sugli scaffali, ma non mi ci sono ancora cimentato. Il fatto è che con “Manzoni è morto” ho deciso di prendere le distanze da certo revisionismo modaiolo che, a mio avviso, è foriero soltanto di una velenosa nostalgia regressiva. La storia così congeniata non ha valore scientifico. Non mi permetto affatto, sia chiaro, di accusare Alianello, ma ho deciso di basare le mie ricerche per il romanzo sul lavoro di storici del calibro di Giuseppe Galasso, Benedetto Croce, Gino Doria, Antonio Ghirelli, Tullio De Mauro ed altri, intellettuali meridionali consapevoli e intransigenti nell’analizzare senza secondi fini i gangli e le problematiche della nostra storia. Un romanzo storico è sempre un’opera di fantasia: diviene, quindi, imprescindibile basare la narrazione su documenti che abbiamo un sostanziale valore scientifico, così da restituire al lettore il racconto di vicende che siano più attinenti possibile alla realtà storica. Per questo motivo, se gli storici citati hanno fornito i documenti, la struttura spirituale del romanzo, l’integrità etico-morale dell’analisi consapevole dei fatti storici, è stata modellata sui lavori di Enzo Striano, Sebastiano Vassalli, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Federico De Roberto e, naturalmente, Alessandro Manzoni.”

La battaglia di Calatafimi, di Remigio Legat.

Anche in questo romanzo, il tema principale pare essere l’ineluttabilità del fato. Una costante nei tuoi romanzi. Come mai?

Manzoni è morto chiude la “Trilogia del Nulla”, iniziata con il sopraccitato “Virgilio e la terra del tramonto” e proseguita con “L’Osco”. Questi romanzi, la cui stesura mi ha accompagnato praticamente per tutta la vita, sono stati un mezzo di analisi costante della realtà biologica in cui mi trovo ad agire. Mi sono reso conto che attraverso questi lavori ho cercato di concretizzare prima ai miei occhi e poi a quelli del lettore l’idea che le vicende naturali, di cui quelle umane sono solo una parte, siano pervase dal potere ineluttabile di quel fato che gli antichi già sapevano più grande degli dei. Credo di aver cercato di dimostrare che la tendenza umana alla riduzione sia soltanto una vanità. Il nostro terrore congenito per l’ignoto e, quindi, per la morte, ci porta a definire, a ritagliare, a limitare ciò che ci circonda, perché altrimenti ne saremmo atterriti. Lo facciamo tutti, lo facciamo sempre. Anche un romanzo è un limite in fondo, circoscrivere un mondo e la realtà in una storia, in un numero di pagine mai troppo esteso da essere davvero insormontabile. La realtà, però, non si riduce: siamo inscritti irreversibilmente in un organismo teso a originare e confondere, all’infinito. Animali, piante, pianeti, stelle: ogni cosa è parte di questo sistema. Con i miei romanzi, ho cercato di creare dei personaggi che ne fossero davvero consapevoli, che a un certo punto accettassero questa realtà. Per me è impossibile: io esisto (forse), loro no. Io devo convivere con la paura della perdita, di me stesso, di chi amo e, spesso, dimentico ciò che ho cercato di definire. Questo è il senso del fato, suppongo, il vano tentativo di sfuggire a qualcosa che ci ha già trovati.”

Granatiere dell’esercito borbonico.

Perché leggere “Manzoni è morto”?

Romanzo storico e Regno delle Due Sicilie: “Credo per la sincerità. Ho voluto narrare una storia che restituisse dignità a un mondo e a un tempo senza nostalgia regressiva, senza campanilismo. Abbiamo una storia meravigliosa, ma dobbiamo conoscerla così come è avvenuta, rinunciando a inutili mistificazioni. Ho cercato di raccontare quel tempo con sincerità, riscoprendone le potenzialità e fugando le becere menzogne della propaganda.”

Progetti per il futuro?

“La prossima volta racconterò il Medioevo napoletano. Il romanzo è già finito, ma non aggiungo altro…”


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