Battaglia di Canne del 216 a.c. principale combattimento II guerra punica. Seconda parte

Link Battaglie di Canne – Prima parte.

Di seguito la seconda parte della Battaglia di Canne del 216 a.c. principale combattimento II guerra punica.

Lo spiegamento tattico secondo Polibio.
A sinistra c’era la formazione coortale composta da tre manipoli di triarii, principes e hastati e da una legione di 4.200 fanti. Al centro, una legione di 5.000 armati, a destra una legione di 5.000 armati con uno schieramento molto compatto. La fanteria, veniva disposta al centro e la cavalleria, in due ali. I romani, seguivano, solitamente, questo schema.  Varrone, si ricordava di come la fanteria fosse riuscita a penetrar a centro dell’esercito nemico, durante la battaglia della Trebbia, per cui era intenzionato a ripetere nuovamente tal manovra di attacco frontale.
Dispose, quindi, le linee di fanteria per lunghezza anziché per larghezza e diminuì lo spazio tra i manipoli, sperando, in questo modo, di poter penetrare nelle maglie dello schieramento avversario. L’obiettivo era dunque quello di contare sulla pressione irresistibile della fanteria pesante legionaria, da sfruttare al massimo in caso di urto frontale. Polibio narra che Varrone la schierò:”disponendo i manipoli più fitti del solito e facendoli molto più profondi che larghi” . L’intero fronte delle otto legioni misurava ben 1440 metri e su di esso, i principes stazionavano subito dopo gli hastati pronti a spignere in avanti al primo contatto. Il fronte obliquo, invece, era di circa 3.000 metri, compreso le cavallerie. I due consoli, adottarono una formazione a ranghi serrati, rinforzata in profondità con uno schieramento di soli 600 metri sul fianco destro e di 1.700 metri su quello sinistro. Lo schieramento più ravvicinato, avrebbe dovuto garantire una resistenza prolungata, in modo da dar tempo ai legionari che dovevano sfondare il centro nemico.

Distribuzione delle truppe.
I due consoli Terenzio Varrone ed Emilio Paolo, scelsero la posizione ad Est del fiume Aufidus, schierando l’esercito a nord, con fronte a sud e fianco destro orientato sul corso del fiume. Credevano che l’impatto di un esercito numericamente superiore, avrebbe letteralmente spinto i cartaginesi nel fiume dove sarebbero stati poi facilmente sterminati. Si scelse una postazione priva di insidie, per evitare raggiri e furbizie da parte di Annibale. Il campo di Canne era aperto, per lui le colline sul fianco sinistro di Romani, avrebbero impedito facilmente alla cavalleria numidia, rapidi aggiramenti.

I cartaginesi.

L’esercito africano era composto da 10.000 cavalieri, 40.000 soldati della fanteria pesante e 6.000 della fanteria leggera, disposti sul campo di battaglia, esclusi i distaccamenti e proveniva da varie aree geografiche. La fanteria, era composta da 22.000 fanti iberici e celti, 10.000 fanti libici divisi in due formazioni, i quali fiancheggiavano i primi ed 8.000 guerrieri della fanteria leggere tra lancieri di nazionalità mista e frombolieri delle Isole Baleari. La cavalleria, invece, era formata da 4.000 numidi, 2.000 spagnoli, 4.000 galli e 450 libici-fenici. Tutti erano legati da un solido legame con Annibale, improntato sulla fiducia e rispetto per un condottiero apprezzato enormemente per le sue straordinarie abilità di stratega, attaccamento che invece i legionari romani, non avevano nei confronti dei loro generali e come Cesare ben sapeva, ciò poteva rivelarsi l’arma più potente in una battaglia.

Equipaggiamento.

I fanti iberici erano dotati di spade con la punta, maneggevoli e corte, giavellotti ed altri tipi di lance con grandi scudi ovali. I fanti galli, giavellotti ed altri tipi lance con grandi scudi ovali ma le loro spade, erano molto più lunghe, per i colpi da taglio. I fanti libici, secondo quanto narra Polibio, erano equipaggiati con armi prese dai Romani, precedentemente sconfitti. Non si sa con esattezza se solo scudi e armature o anche armi. I tiratori, portavano frombole e lance mentre i frombolieri delle Isole Baleari, che erano ottimi tiratori, portavano lunghe, medie o corte fionde per lanciare pietre o altri tipi di proiettili. Talvolta portavano  un piccolo scudo o uno strato di cuoio sulle braccia.

La cavalleria pesante, due giavellotti, una spada ricurva ed un pesante scudo mentre quelle numida, non aveva armatura ma un piccolo scudo, giavellotti ed un coltello o un’arma da taglio più unga. Polibio narra che:”Contro Annibale, le sconfitte subite nulla avevano a  che fare con le armi o formazioni: Annibale stesso scartò l’attrezzatura con cui aveva iniziato e armò le sue truppe con armi romane”.  Annibale fu uno dei più grandi strateghi della storia, degno avversario del futuro Scipione, l’unico che, tra l’altro, apprezzò e stimò per il suo ingegno. Dunque sapeva che a Canne, in sua assenza, non c’era un comandante che potesse fronteggiarlo. Pertanto architettò un piano di battaglia rischioso e sorprendente. Intuì subito la mancanza di elasticità dell’esercito avversario, dunque decise di impiegare truppe meno numerose ma maggiormente esperte e mobili, proprio per eseguire la caratteristica manovra a tenaglia che lo rese celebre.
Pose al centro del suo schieramento, composto da 20.000 soldati tra fanti galli e iberici, una formazione ad arco proteso in modo da consentire agli ibero-galli di guadagnare tempo e spazio di manovra, senza disgregarsi sotto l’urto romano. Rifluendo all’indietro, avrebbero in tal modo costretto il nemico a chiudersi in una sorta di imbuto con i due lati scoperti dove sarebbe poi intervenuta la sua fanteria pesante, composta da 10.000 uomini più esperti ed armati con armamenti catturati al nemico. La violenta fanteria africana, venne dunque schierata da Annibale sui due latri, dietro l’arco degli ibero-galli, per lavorare ai fianchi i Romani.
Il fianco sinistro, fu affidato ad Asdrubale il quale schierò  6.500 soldati della cavalleria pesante ibero-gallica, per sbaragliare la debole cavalleria di Emilio Paolo. Sull’altro fianco, invece, 4.000 numidi guidati da Maarbale, avevano il compito di annientare la cavalleria di Varrone e ruotare attorno alla fanteria, attaccando poi i legionari alle spalle. Annibale era inoltre soddisfatto della posizione del suo esercito vicino al fiume Aufidus, perché, in tal modo, i romani non avrebbero potuto effettuare una manovra a tenaglia in quanto uno dei due fianchi del suo esercito, si trovava proprio sulla riva del fiume.

La battaglia di Canne

Il confronto tra le fanterie, precedette la vera e propria battaglia campale, con giavellotti, proiettili e frecce. I Velites erano avvantaggiati dalla superiorità numerica e dalla loro precisione di tiro, dunque Annibale decise di lanciare subito la cavalleria pesante comandata da Asdrubale, contro quella nemica, usando come protezione, la grande nube di polvere creata dalla marcia degli eserciti e dallo scontro tra le fanterie leggere. La cavalleria pesante ibero-celtica, attaccò repentinamente e violentemente quella romana con una carica corpo a corpo. Polibio, in tal senso, racconta di come i cavalieri celti ed ispanici scesero da cavallo per affrontare la battaglia a piedi. Un metodo barbaro, che si rivelò, però, efficace.

I romani, sorpresi, dovettero anch’essi scendere da cavallo e combattere appiedati.:”L’ala sinistra della cavalleria gallica ed ispanica si azzuffò con l’ala destra romana, non tuttavia in forma di combattimento equestre:bisognava infatti lottare frontalmente poiché non era presente attorno spazio per evoluzioni; da un lato le serravano le schiere dei fanti e dall’altro, il fiume. Si urtarono dunque da entrambe le parti in linea di fronte; forzati a immobilità dalla calca i cavalli, i cavalieri si abbrancavano l’uno per gettar l’altro di sella. La battaglia era ormai divenuta prevalentemente pedestre; tuttavia si combattè più aspramente che al ungo, e i cavalieri romani, respinti, volsero alla fuga.”.
Tito Livio, (Ab Urbe condita). Lo scopo di tutto ciò era rrrallentare l’avanzata della fanteria romana, per distribuire quella africana nella famosa tenaglia. Dopo il primo scontro, le legioni romane guidata dai consoli Gneo Servilio Gemino e Marco Minucio Rufo, attaccarono frontalmente in formazione serrata, con i loro gladi ben saldi nella mano destra. Oltre 55.000 romani, esercitarono contro 20.000 numidi, una pressione irresistibile ma sull’ala desta dell’esercito cartaginese, gli avversari impegnarono la cavalleria alleata, rendendo incerto l’esito della battaglia. I cavalieri ispanici di Asdrubale, accorsero però in aiuto dei Numidi e la cavalleria alleata, venne così sopraffatta e costretta ad abbandonare il campo di battaglia, inseguita fin fuori da esso.
Dopo meno di un’ora di duri scontri tra le legioni romani,imbattibili in uno scontro frontale, e gli ibero galli, le linee cartaginesi  cominciarono a ripiegare, con numerose perdite subite. La mezzaluna delle truppe ispaniche e galliche, si piegò dunque verso l’interno, man mano che i guerrieri si ritiravano. Annibale, conosceva la superiorità dei legionari romani, per cui aveva istruito la sua fanteria a ritirarsi volontariamente, creando cos’ un semicerchio sempre più stretto intorno alle forze. Aveva , in questo modo, trasformato la forza d’urto delle legioni del console Emilio Paolo, in un elemento di debolezza in modo che mentre queste ultime avanzavano,  perdevano allo stesso tempo coesione, pressando in modo confusionario per raggiungere la vittoria.

La libertà di movimento, di colpo, si restrinse,mentre Annibale e Magone riuscirono a mantenere uno schieramento difensivo, conservando la coesione e permettendo di completare la manovra combinata sui fianchi. I romani, non si accorsero, dunque, delle truppe africane poste all’estremità della mezzaluna ormai rovesciata. In questo modo, Annibale riuscì a guadagnare tempo prezioso affinchè la sua cavalleria riuscisse a costringere alla fuga quella nemica su entrambi i fianchi. Fu una vera e propria ecatombe per i romani.  La fanteria romana, posta su ambedue i lati,aveva ormai formato un cuneo spinto sempre più in profondità nel semicerchio nemico. Annibale ordinò alla sua fanteria di girare verso l’interno e avanzare contro i fianchi nemici, accerchiando così le legioni romane.
Quando la cavalleria africana sorprese quella avversaria alle spalle ed i fanti penetrarono sulle ali, la fanteria imperiale fu costretta a fermarsi. I legionari, tentarono di tornare indietro, subendo però gravi perdite, urtando le altre linee delle legioni e costringendole a loro volta a fermarsi, per mancanza di spazio. I romani ormai accerchiati, vennero lentamente annientati dalla fanteria africana sui fianchi, dalla cavalleria alle spalle e dagli ibero-galli di fronte, attraverso combattimenti continui, corpo a corpo. I centurioni perdettero le insegne mentre i piccoli gruppi che tentavano di scappare, venivano raggiunti e finiti. Il console Emilio Paolo, nonostante fosse stato ferito gravemente con una fionda, decise, coraggiosamente, di restare sul campo fino alla fine ma mise da parte i cavalli perché gli mancavano le energie per restare in sella. Tito Livio, racconta che Annibale, vedendo il console che aveva ordinato ai propri cavalieri di smontare a piedi, avrebbe detto:”Quanto preferirei che me li consegnasse già legati”.
 La carneficina durò circa sei ore ed il console,  fu finito, colpito da nemici, senza essere stato riconosciuto da nessuno.:”Tante migliaia di Romani stavano morendo. Alcuni, le ferite erano eccitate dal freddo mattino, nel momento in cui si stavano alzando, coperti di sangue, dal mezzo dei mucchi di uccisi, erano sopraffatti dal nemico. Alcuni sono stati trovati con le teste immerse nelle buche in terra, che avevano scavato; avendo così come si mostrò, realizzato buche per loro stessi, e essendosi soffocati” (Tito Livio, Ab Urbe condita). Lo storico Cowley affermò che fin quando la carneficina non si arrestò con il sopraggiungere dell’oscurità, furono massacrati circa 600 legionari al minuto.
alleati latini, cos’ che la vostra vergogna e la vostra miseria procacci onore agli altri? Non lo vorrete, se pure siete i concittadini del console Lucio Emilio che preferì morire valorosamente anziché vivere ignominiosamente e dei tanti valorosissimi che sono ammucchiati intorno a lui.
Ma, prima che la luce ci colga qui e più dense turme nemiche ci chiudano la via, erompiamo, aprendoci la via tra questi drappelli disordinati che schiamazzano sulle porte” Col ferro e con l’audacia ci si fa strade anche tra dense schiere nemiche. Stretti a cuneo, passeremo attraverso questa gente rilassata e scomposta come se nulla ci opponesse. Venite dunque tutti con me, se volete salvare voi stessi e la Repubblica!”. Il tribuno militare venne seguito da una parte dei legionari e nonostante le frecce numide che giungevano da tutte le parti, circa seicento soldati dell’Urbe riuscirono a riparare nell’accampamento maggiore. Tutti questi particolari, non presenti comunque nelle fonti di Polibio, sono stati considerati dal De Sanctis, in parte immaginari.
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