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Prabda Yoon – Feste in lacrime, racconti dalla Thailandia

Tra questi racconti, "Diario di una Scolara" mi ha particolarmente colpito.

Prabda Yoon – Feste in lacrime, racconti dalla Thailandia. Tra questi racconti, “Diario di una Scolara” mi ha particolarmente colpito.

Immergersi nelle opere dello scrittore thailandese Prabda Yoon significa entrare in un universo narrativo sottile e profondamente umano. Conosciuto per la sua capacità di esplorare le sfumature dell’esistenza attraverso prospettive originali, Yoon si è affermato come una voce significativa della letteratura contemporanea. La sua raccolta “Feste di Lacrime” pubblicata in Italia nel 2018 da add editore e tradotta da Luca Fusari, ne è un esempio lampante, offrendo ai lettori una serie di racconti intensi e poeticamente evocativi, spesso focalizzati sulle esperienze e le riflessioni di personaggi femminili. In lingua inglese, la raccolta è stata pubblicata nel 2017 con il titolo “The Sad Part Was” dalla casa editrice Tilted Axis Press. La versione in thailandese di “The Sad Part Was” si intitolava “Kwam Na Ja Pen” ed è stata pubblicata nel 2000. Questa raccolta di racconti ha vinto il prestigioso premio S.E.A. Write Award nel 2002, consacrando Prabda Yoon come una figura di spicco nella letteratura thailandese.

“Feste di Lacrime” – add editore – Trad. di Luca Fusari

Tra questi racconti, “Diario di una Scolara” mi ha particolarmente colpito per la figura di Tong-Jai, una bambina di nove anni la cui visione del mondo possiede una profondità disarmante. Il suo peculiare rapporto con il numero due ha innescato in me una riflessione persistente. La difficoltà di Tong-Jai con la matematica non è una semplice lacuna scolastica, ma un rifiuto di accettare passivamente le convenzioni. Il suo interrogarsi sul fatto che “uno più uno fa due” rivela una mente che non si accontenta di automatismi, ma esige di comprendere i processi sottostanti, con una freschezza che gli adulti spesso perdono.

La sua argomentazione colpisce per l’originalità e la profondità nascosta sotto un’apparente ingenuità: “Come fa a fare due? Aspetta. Se ne hai uno, da dove viene l’altro? E come fanno a fare qualcosa insieme? Questa è già una questione spinosa. Mettiamo che papà è uno, più un altro, che è mamma. Ovviamente fa tre, perché quando si sono uniti loro sono nata io, e facciamo tre. In più, mettiamo che l’unione di mamma e papà non finisca qui. Se mi arriva un fratellino, fa quattro. E se al mio fratellino arriva un fratellino, fanno cinque. Mettiamo che uno è una tigre e un altro un coniglio. Se li metti insieme, la tigre mangia il coniglio, e ne rimane uno. Mettiamo che uno è mercurio, e ci aggiungi mercurio: mercurio più mercurio fa un sacco di mercurio, cioè di nuovo uno.”

Questo flusso di pensieri, lungi dall’essere un semplice errore logico, è un’esplorazione delle dinamiche trasformative che caratterizzano la realtà. Tong-Jai intuisce che l’interazione tra elementi non si riduce a un calcolo meccanico, ma genera qualcosa di nuovo, di diverso dalla semplice somma delle parti. La metafora della lacrima è particolarmente evocativa: “Mettiamo che cada una lacrima e si combini con un’altra, fanno una grande lacrima…”. Non si tratta solo di un’addizione quantitativa, ma di una trasformazione qualitativa che genera una nuova entità. La bambina percepisce intuitivamente quella continuità vitale che caratterizza l’esistenza, dove nulla rimane identico nell’incontro con l’altro.

Questo mi ha riportato al Tao Te Ching, in particolare al verso che recita: “L’Uno genera il Due, il Due genera il Tre, e il Tre genera le miriadi di esseri” (cap. 42, traduzione di Fausto Tomassini, Feltrinelli, 1977).  La frase taoista si collega profondamente a questo contesto, poiché descrive un processo cosmico non matematico, in cui l’Uno origina la molteplicità attraverso trasformazioni dinamiche, non additive. In questo senso, il “Tre” non è un risultato aritmetico, ma un simbolo dell’emergere di nuove realtà attraverso l’interazione degli opposti (come, ad esempio, papà e mamma).

Proprio mentre mi lasciavo permeare dalla logica ribelle di Tong-Jai, il testo ha acceso in me un cortocircuito inatteso: quell’idea di aritmetica come atto creativo, anziché meccanico, ha iniziato a vibrare con risonanze lontane. È come se la purezza del suo dubitare avesse forzato un varco tra mondi, trascinandomi verso territori che mai avrei associato a una bambina di nove anni. E così, senza premeditazione, mi sono ritrovato a pensare all’esperimento del gatto di Schrödinger, uno degli esempi più celebri della fisica quantistica. Immaginate una scatola chiusa in cui si trova un gatto: finché la scatola resta chiusa, non possiamo affermare con certezza se il gatto sia vivo o morto, perché egli esiste in uno “stato di sovrapposizione” – un insieme di possibilità che coesistono contemporaneamente. Quell'”1″ non rappresenta un valore fisso, ma racchiude al suo interno svariate potenzialità; e se aggiungiamo un altro “1”, non otteniamo semplicemente “2”: le possibilità si intrecciano in maniera complessa, sfidando la logica lineare della somma.

Quando infine aprite la scatola, il processo di osservazione fa collassare lo stato di sovrapposizione in una realtà definita – ma fino a quel momento, ciò che avrebbe potuto essere una semplice somma si rivela un intreccio dinamico e incerto di possibilità. Questa idea, che ci ricorda come la realtà non sia sempre prevedibile e lineare, secondo me risuona fortemente con il modo in cui Tong-Jai mette in discussione l’evidenza che “uno più uno faccia due.”

E quindi, 1+1 quanto fa?
Mu.

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