Leopardi – Il poeta dell’infinito incontra Rockstar di Alex Wyse. Il mio cammino tra una miniserie e un singolo di oggi.
Leopardi – Il poeta dell’infinito. Da due settimane “Rockstar” di Alex Wyse mi gira ossessivamente in testa. L’ho scoperta navigando su Spotify, cercando qualcosa di nuovo. Era uscita a novembre 2024, ma l’ho incrociata solo ora, proprio mentre la Rai mandava in onda la serie su Leopardi, conclusa ieri sera. E in questo strano incrocio temporale sta succedendo qualcosa che non riesco a ignorare.
Il Leopardi che ho visto in TV in queste sere mi ha completamente spiazzato. Non ha nulla a che vedere con il poeta ingessato dei libri di scuola. Leonardo Maltese gli ha dato una vita pulsante, una passione che brucia sotto la pelle. C’è una scena nella prima puntata che non riesco a togliermi dalla testa, quando parla del pensiero degli antichi, di come la loro immaginazione fosse più viva, più libera della nostra.
In quel momento, come un’eco involontaria, il ritornello di Wyse ha iniziato a risuonarmi dentro: “Non ci sono più rockstar”. Ed è lì che ho capito: gli antichi erano le rockstar di Leopardi, quei giganti del pensiero libero che cercava disperatamente nel suo presente asfittico. Due voci che, a secoli di distanza, gridano la stessa nostalgia per qualcosa di autentico che sembra perduto.
Mi sono incuriosito e ho cercato informazioni su Alex Wyse. Si chiama Alessandro Rina, è emerso da Amici nel 2022, e dopo alcuni successi discografici ora si prepara a Sanremo 2025 tra le nuove proposte. “Solo quando cresciamo diventiamo piccoli”, canta in Rockstar. È un verso che mi ha colpito subito, l’ho riascoltato mille volte. C’è qualcosa in quelle parole che mi riporta dritto a Leopardi, alla sua riflessione sulla giovinezza perduta, sulle illusioni che svaniscono crescendo.
Durante l’ultima puntata di ieri, ho fatto una cosa strana: ho abbassato l’audio della TV e ho fatto partire “Rockstar”. Il Leopardi sullo schermo sembrava muoversi seguendo quella musica, come se quei versi sulla libertà perduta fossero stati scritti pensando a lui. Entrambi cercano qualcosa che non c’è più: Wyse le sue rockstar, Leopardi il pensiero degli antichi.
La serie ha fatto il botto – quattro milioni di spettatori. Forse perché questo Leopardi parla come noi, soffre come noi. Come Wyse quando canta “È una fantasia la libertà”. Due anime inquiete che si cercano attraverso i secoli.
Ieri sera, guardando Giusy Buscemi nei panni di Fanny, quel verso “Scherziamo coi ti amo e non riusciamo a dirceli” ha preso tutto un altro significato. Ho ripensato alle lettere mai spedite del poeta, ai suoi amori mai confessati. Mi sono ritrovato a immaginare Leopardi nella sua biblioteca di Recanati, con le cuffie nelle orecchie, che ascolta Wyse. Magari sorride, riconoscendo in quelle parole moderne la sua stessa ricerca di autenticità perduta. O forse annuisce, capendo che dopo duecento anni stiamo ancora cercando i nostri “antichi”, le nostre rockstar del pensiero.
C’è qualcosa di magico in come una canzone uscita appena due mesi fa possa illuminare di nuova luce un poeta dell’Ottocento. In come il disagio esistenziale di un giovane cantante di oggi possa dialogare con l’infinita solitudine di un genio di due secoli fa.
La serie è finita ieri sera, ma questo dialogo continua nella mia testa. Mentre scrivo, “Rockstar” continua a suonare nelle mie cuffie. Mi chiedo se sono l’unico a vedere questi collegamenti, a sentire queste risonanze. Ma forse non importa. In fondo, è proprio questo il bello dell’arte: la sua capacità di creare ponti nel tempo, di far dialogare anime distanti ma vicine nel sentire. Due ragazzi che cercano qualcosa di autentico in un mondo che sembra averlo perso. Cambiano i secoli, ma la ricerca resta la stessa.