Luis Vinicio, O’ lione del Napoli degli anni’ 50. I tifosi lo amarono a tal punto che il loro motto diventò “Vendetevi l’anima, ma non Vinicio”.
Nella Napoli calcistica degli anni 50 il presidente Achille Lauro non badò a spese per costruire una squadra più competitiva, acquistando prima lo svedese Hasse Jeppson, poche stagioni dopo Luis Vinicio. O’ Comandante, come veniva chiamato il presidente, si aggiudicò il cartellino di quel brasiliano di Belo Horizonte per 50 milioni di lire, diventando uno strumento di propaganda elettorale per vincere le elezioni comunali del ‘56, garantendo la commissione dei lavori di Piazza Municipio al conte Mario Vaselli, costruttore edile e vicepresidente della Lazio, che aveva già scoperto il talento del Botafogo.
Trattativa onerosa.
La trattativa, oltre che onerosa, fu vincolante per un altro aspetto, in quanto in rosa erano già tesserati tre stranieri: Jeppson, Pesaola e Vinyei. Per trattenerli, fu fatto un tentativo, molto teatrale, da parte di un prete avversano di imparentare il giocatore con una famiglia del posto, avente lo stesso cognome della madre di Vinicio, Amarante. La mancanza di documenti necessari, però, costrinse O’ Comandante a cederne uno: a fare le valigie fu l’ungherese. L’accordo fu raggiunto con una telefonata molto sfacciata del presidente al conte, a testimonianza del ramificato sistema di interessi a carattere populista, che il presidente Lauro creò nella sua carica di sindaco di Napoli tra il ’52 e il ’57.
E così, nel ‘55, a 23 anni, Vinicio sbarcò a Napoli e i tifosi gli conservarono l’appellativo di O’ lione, tramandato dal Botafogo, quando un tifoso inviò ad un giornale sportivo di Rio questi versi: “Vinicio, il tuo nome è accetto, con la tua fame di campione tu hai, nel petto, il cuore di un leone”.
Forza fisica impressionante.
Forza fisica impressionante, ma agile, grinta e tiro potente, per cui leone. Non il classico brasiliano “joia e beleza”. Il suo debutto, al Vomero, il 18 settembre, stagione 1955-56, contro il Torino, fu straordinario: fischio d’inizio, batté il Napoli, Amadei per il mediano Castelli, lancio lungo, Vinicio corse, conquistò la palla e sparò un potente destro dentro la porta granata. 1 a 0. Non era passato neanche un minuto. Nonostante il 2-2 finale, i tifosi mostrarono affetto incondizionato per il brasiliano, che concluse la stagione con 16 reti in 26 presenze, facendo meglio del compagno di reparto Jeppson (8). L’intesa non mantenne le aspettative, nonostante il tandem venne battezzato “V2”, il missile tedesco.
L’addio di Jeppson.
L’anno successivo, con l’addio di Jeppson, Vinicio ne beneficiò – 18 su 34. Alla terza annata raggiunse l’apice con 21 centri in 34 partite. Molto più calanti le ultime due stagioni, 7 goal ciascuna. Nelle annate che furono di Vinicio al Napoli, la squadra, però, raggiunse soltanto il quarto posto, come miglior risultato, tra l’altro nella stagione più prolifica di Vinicio, totalizzando 69 reti in 152 partite con la maglia azzurra.
Ma non fu tutto rose e fiori. Amadei, ritiratosi da calciatore nel ‘56, subito si prese la panchina del Napoli fino al ‘59, in cui emersero diatribe proprio con Vinicio e Pesaola, portando a conflitti di spogliatoio.
“Vendetevi l’anima, ma non Vinicio”.
Alla notizia di un probabile addio, la tifoseria si mobilitò, esibendo uno striscione al San Paolo, testimoniando la rappresentatività masaniellistica del giocatore per la città: “Vendetevi l’anima, ma non Vinicio”. Nel 1960 Vinicio passò al Bologna per 122 milioni di lire più Pivatelli e Mihalic. Fu subito Serie B. Vox populi, vox dei. I napoletani l’avevano presagito. Il legame con la città è rimasto vivo, tant’è vero che Vinicio ha scelto di viverci. Lo scorso due marzo è stato al Mann per la visita alla recente mostra degli oltre 90 anni del Napoli tra trofei, storie e aneddoti di quei tempi.