2084 – L’Anno in cui bruciammo chrome: il New Weird sbarca a teatro? Al Teatro Sannazaro va in scena l’innovazione.
2084 – L’Anno in cui bruciammo chrome mi ha conquistato fin dalle prime scene. Marcello Cotugno in colaborazione con Nadia Carlomagno, completa la sua trilogia sul futuro e la famiglia con uno spettacolo che sa essere visionario e profondamente umano allo stesso tempo. Mi ha colpito come riesca a mescolare generi apparentemente distanti. C’è il calore della commedia napoletana, con le sue dinamiche familiari intense. C’è la cifra della storia giovanile di formazione, stile film Anime di Makoto Shinkai. C’è l’inquietudine di Black Mirror nella storia di questa famiglia Donati, alle prese con un futuro dove la Cina ha colonizzato culturalmente l’Occidente. Inoltre, lo spettacolo incorpora elementi del New Weird, un genere letterario che fonde fantascienza, fantasy e horror per creare mondi surreali e perturbanti. In questo caso, il New Weird si manifesta attraverso una narrazione che sovverte le nostre aspettative, con un’attenzione maniacale al corpo e alla sua inadeguatezza, creando un’atmosfera di straniamento e disagio che ci spinge a riflettere sulla nostra stessa esistenza
Gli attori sono bravissimi. La scena che più mi ha emozionato ricorda “Her” di Spike Jonze: quando Izar comunica nel metaverso con Xe, che poi si rivela essere un’intelligenza artificiale. Un momento di struggente bellezza che parla della nostra solitudine digitale.
Il minimalismo della scenografia è geniale: quello spazio bianco con il mega schermo diventa un limbo dove realtà e virtuale si fondono. E che idea ingegnosa quella di far muovere gli attori tra il pubblico! Ti senti parte di quel mondo, nel bene e nel male. I costumi, curati nei minimi dettagli, contribuiscono a creare un’atmosfera futuristica e distopica, con un tocco di eleganza e originalità. La colonna sonora è una sorpresa continua: dalla band cult cinese Omnipotent Youth Society passando per il funkot indonesiano. Crea un’atmosfera unica, un ponte sonoro tra culture che riflette i temi dello spettacolo.
L’innovazione tecnologica è ovunque: gli 84 NFT dei personaggi, le poesie generate dall’AI, le scene recitate con i visori Oculus. Ma non è mai fine a se stessa. Serve la storia, la rende più vera.
Il finale mi ha commosso. Quando Izar hackera il sistema e lascia la sua lettera d’addio, ho pensato subito alle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”. Come il personaggio di Foscolo, esprime curiosità ed amore per la vita nonostante tutto il buio che lo circonda.
I costumi ispirati al fotografo Ren Hang, le luci minimali di Mari, le scene degli allievi dell’Accademia di Belle Arti: ogni dettaglio racconta una storia. È teatro che parla ai giovani di metaverso, criptovalute, hikikomori. Ma parla anche a tutti noi del nostro rapporto complicato con la tecnologia.
“2084” fa ciò che il grande teatro sa fare: usa il palcoscenico come specchio del presente e finestra sul futuro. Ti fa ridere, pensare, emozionare grazie a regia e interpreti capaci. E quando esci, ti porti dentro un pezzo di quel mondo