Mario Vespasiani. Dai dipinti alla letteratura, le visioni misteriose dell’artista in mostra fino al 26 gennaio nelle Marche.
“Mito, metafora, spirito e rito hanno ancora un ruolo in una società dominata da tecnologie e macchine, e la centralità dell’uomo pur con tutte le sue criticità sa ancora dirsi aperta all’incommensurabile e al mistero?”
Nella vertigine del quotidiano, nei suoi ritmi incalzanti ogni tanto emerge qualcosa che tocca le corde più intime e raffinate dello spettatore e in un tale sistema dell’arte, sedotto dai prezzi più che dal contenuto delle qualità estetiche e concettuali del lavoro, capita di scorgere figure defilate, non uniformate e agguerrite, che parlano altri linguaggi e conducono a suggestioni che non sono solo materiali, ma che forniscono ai sensi più coordinate e punti di vista.
Mario Vespasiani è sicuramente tra gli artisti più innovativi quanto anomali, cesellatore di versi non in rima, egli nato nel golfo di Venezia nel 1978, è capace come pochi di trasformare la pittura dall’interno, muovendosi tra figurazione e astrazione ma soprattutto lucido nell’interpretazione del presente in chiave metaforica, allusiva e di grande respiro. Dal fascino dandy che ricorda la spigliatezza di Amedeo Modigliani, è in grado di toccare nelle sue opere temi quotidiani ma senza mai farne riferimento diretto, bensì innalzandoli ad un sentimento universale, al punto che ciascun lavoro si presta a molteplici interpretazioni.
A tal ragione tra le significative mostre d’arte contemporanea in corso sul territorio nazionale in questo inizio 2020, nelle Marche presso lo spazio One Lab Contemporary nella città di Ripatransone è possibile scoprirne una di un notevole interesse che pone all’attenzione sulla componente intellettuale e simbolica della pittura, che descrive la discesa nel profondo, mediante l’uso di un unico colore, il Blu. Qui Mario Vespasiani, che negli anni ha elaborato opere e tematiche di notevole spessore, maturando la propria ricerca svela un ulteriore fase creativa, accostando le tonalità dei blu, presenti in differenti opere realizzate in vari periodi della sua carriera. Un percorso progressivo, che si comprende pienamente osservando il sentimento di totale fusione con la vita, che ha guidato l’artista durante ciascun ciclo pittorico. Molti studiosi hanno fatto riferimento alla pittura di Vespasiani come una pratica Zen e per il suo interessamento alle discipline orientali è stato spesso paragonato a un samurai, nel vestire con naturalezza i panni di un monaco-guerriero dell’arte, che sa alternare pratica e meditazione, azione e contemplazione.
Mario Vespasiani adotta la metodologia dello spirito dello ZEN e della coscienza della mente che conduce all’aderenza con la realtà, al qui ed ora, per agire attimo per attimo e dunque evolvere il proprio sé con naturalezza. Tra i grandi maestri del novecento che hanno seguito un percorso analogo, quello del francese Yves Klein (1928-1962) rappresenta un caso emblematico, per essersi dedicato prestissimo all’arte e per aver intrapreso la disciplina del judo, che si è rivelata fondamentale nell’affinare la sia la sua facoltà di concentrazione che la sensibilità. In Klein pervade un culto dell’invisibile, una sublimazione del colore totale, mentre in Vespasiani il colore diventa ipnotico, suadente e musicale.
Il timbro monocromatico di Klein in Vespasiani deflagra in più punti, come a evidenziare i tocchi e i dettagli. Entrambi fanno riferimento alla condizione di un uomo che aspira all’eterno, a una dimensione sovra storica.
Il blu di Klein è un abbraccio cosmico, vellutato, che impregna l’atmosfera, assorbe e calma. Richiama cielo ed acqua senza raffigurarli e trasporta in un “nulla” insondabile, pregno di una tinta oceanico e della vertiginosa profondità del cosmo.