Pittura Vincenzo Migliaro e Vincenzo Caprile: due autentici giganti della pittura partenopea. Artisti di incredibile sensibilità.
Pittura Vincenzo Migliaro e Vincenzo Caprile. Tali pittori rappresentano due artisti fenomenali della pittura napoletana tra diciannovesimo e ventesimo secolo. Il primo, la cui vita fu molto riservata e solitaria, fatta di studio e costante ricerca, ostenta uno stato di insofferenza verso il prossimo, una sorta di misantropia che ha sempre caratterizzato la sua esistenza. Fin da giovane Vincenzo Migliaro ha mostrato irrequietezza ed insofferenza, assorbito in tutto e per tutto in una meditazione verso la natura che ha poi restituito su tela. La conoscenza dell’anima, la continua penetrazione delle cose, il desiderio di conoscere il valore di tutto ciò che gli era intorno, costituiscono le note di colore più intime ma molto appariscenti di questo grande pittore, vero osservatore innamorato della sua Napoli.
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Vincenzo Migliaro fu un artista in tutti i sensi, ma forse il termine artista non premia neanche abbastanza lo splendore della sua arte. Grazie a lui, la città di Napoli, per la prima volta nella storia, fu illustrata e raffigurata in modo esemplare, al punto che riuscì a scrollarsi di dosso quei luoghi comuni che lo tacciavano di arte spicciola. Nato nel capoluogo partenopeo, nell’ottobre del 1858, Migliaro, dopo aver imparato l’arte dell’intaglio, frequentando i corsi della Società Centrale Operaia Napoletana, dopo aver fatto pratica presso lo studio di Stanislao Lista, si iscrisse nel 1875 all’Istituto di Belle Arti di Napoli, allievo, tra gli altri, del famoso Domenico Morelli.
Pittura Vincenzo Migliaro e Vincenzo Caprile. Pur essendo stato nell’incantevole capitale della Francia per osservare le opere esposte al Museo del Louvre, Napoli in virtù della sua vita popolare e mutevole, fu la principale fonte di ispirazione dell’artista: le opere con cui partecipò alle esposizioni nazionali di Torino, 1880, 1884 e 1898 e a quelle internazionali, tra cui Barcellona, dove nel 1911 conquistò la medaglia d’argento, ne attribuirono la fama di attento indagatore della realtà napoletana nuda e cruda. Successivamente fu chiamato con altri pittori tra i quali Vincenzo Irolli ad eseguire la decorazione del noto Caffè Gambrinus di piazza Trieste e Trento.
Partecipò, inoltre alle mostre internazionali d’arte di Venezia dal 1901 al 1928 e nel 1927; la Galleria Pesaro di Milano gli dedicò uno spazio espositivo, affiancando alle sue opere quelle di Vincenzo Caprile e Vincenzo Gemito, entrambi napoletani di origini e come lui due notevolissimi pittori che diedero lustro alla metropoli campana.
Vincenzo Caprile fu invece un pittore impressionista legato alla Scuola di Resina. Si diede, infatti, alla rappresentazione di scene paesaggistiche e di personaggi assai popolari. La sua tecnica pittorica ostentava una grande freschezza di tratto, che ricordava particolari affinità con Filippo Palizzi. Le sue opere riscossero un grande successo commerciale. Vincenzo Caprile visse per lunghi periodi a Venezia, alternando tele raffiguranti la Laguna, a paesaggi napoletani. Nel 1888, divenuto ormai un artista di fama internazionale, tanto da diventare docente onorario dell’istituto di belle arti di Napoli, si recò a Buenos Aires, dove si dedicò al ritratto, guadagnandosi i più ampi consensi e la nomina a membro della Società di Belle Arti; ma appena un anno dopo tornò nella sua città natale, nella quale si sentiva a suo agio e ne voleva essere l’interprete principale. Infatti Vincenzo Caprile prese tutto di Napoli; le abitudini, i costumi e soprattutto il linguaggio, egli divenne il facile e fortunato divulgatore di una una pittura dal colore luminoso e tenero, che in un certo senso era ispirata dalla tradizione partenopea.
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