La crisi come straordinaria opportunità di rinascita e consapevolezza. Esplorando il potenziale evolutivo dei momenti critici.
“Le cose forti della vita sono crisi”, scrive in un suo libro lo scrittore Massimo Maggiani, cogliendo quella profonda verità che risiede nel cuore di ogni momento critico: la possibilità di una rinascita. Rinascita che sta a simboleggiare quei semi di crescita che ogni difficoltà porta con sé. Crisi, crisalide, crisma, tutti termini accomunati dalla stessa radice indoeuropea “krei” che allude ad un momento di separazione, giudizio e decisione. Come la crisalide che deve “liberare” le strutture della vecchia vita da bruco per far emergere la bellezza della farfalla, ogni crisi distrugge certezze ma prepara anche la via per una nostra più autentica rinascita.
Momento di dolore ma anche preziosa chance evolutiva, dove tutto ciò che non funziona più viene decostruito per far posto a nuove possibili integrazioni del sé. Una vera e propria occasione di crescita. Ed è forse per questo che lo scrittore connette le crisi della vita al sacro e al sacrificio. Anche qui l’etimologia viene in nostro aiuto. La radice indoeuropea “sak” significa “aderire, attaccarsi, seguire, accompagnare, adorare” e si riferisce al concetto di sacralità, separazione e dedizione al divino. Da questa radice derivano parole come il latino “sacer” (sacro, consacrato, maledetto), il greco “hágios” (santo, puro, venerabile), il sanscrito “sákta” (che segue, devoto, adoratore). Attraverso il cosiddetto sacrificio, qualcosa veniva offerto ritualmente come tributo agli dei per propiziarsene il favore. Dunque un momento critico e doloroso che permetteva però di entrare in contatto con l’aspetto più profondo dell’esistenza.
Sacro, sacrificio e crisi hanno radici comuni, parlando all’anima di difficili ma necessari eventi di morte e rinascita. Passaggi critici grazie ai quali abbandonare un precedente stato per evolvere verso nuove consapevolezze. Come nei riti di iniziazione tribale, il superamento di prove permette l’accesso ad uno status superiore di maturità e saggezza. L’uomo ha sempre esorcizzato queste fasi liminali con pratiche rituali. Perché istintivamente avverte come tali esperienze racchiudano possibilità di crescita spirituale. Ancora oggi “fare un sacrificio” significa sopportare una perdita per ricevere qualcosa di superiore in cambio. Attraverso il sacrificio del nostro attuale livello possiamo realizzare nuove versioni di noi stessi, proprio come la crisalide che si trasforma in farfalla.
Ogni crisi è un momento critico che nasconde però occasioni di fioritura. Vale la pena accostarvisi come a dolorosi ma necessari snodi evolutivi, capaci di condurre a nuovi orizzonti interiori. Come scriveva Hesse “ad ogni progresso spirituale si accompagna un dolore non ancora sopportato”.
L’etimologia, grazie allo studioso Franco Rendich, ci svela ancora affascinanti connessioni, stavolta tra il “nascere” e il “conoscere”. Entrambe le parole derivano dalla stessa radice indoeuropea “jan”, composta dalle consonanti “j” e “n”. Queste due lettere erano state scelte dai grammatici delle antiche popolazioni indoeuropee per esprimere le loro credenze religiose sul ruolo cosmico e divino delle Acque, considerate portatrici del seme della vita e conoscitrici di tutte le cose. La “j” rappresentava il “moto diritto in avanti” e la “n” le Acque primordiali da cui tutto ha origine. L’unione di queste due consonanti, unite alla vocale “a”, diede vita al verbo “jan” che racchiude insieme l’atto del generare e del far nascere. Con l’aggiunta della radice “ñā”, che a causa di una palatalizzazione divenne “jñā”, ecco poi formarsi il verbo “conoscere”.
Nelle lingue indoeuropee classiche ritroviamo questa comune radice in parole come il sanscrito “jñā”, il greco “gignōskō”, il latino “gnosco”. In latino abbiamo poi sia “geno” che “gnascor”, entrambi derivanti da “jan” e legati al significato di “nascere”.
C’è dunque un profondo legame semantico tra nascita e conoscenza. Venire al mondo e acquisire consapevolezza coincidono in un comune processo generativo. Nascere significa portare alla luce nuovi livelli di comprensione. Ecco perché le crisi possono essere lette come travagli che precedono un “parto”. Momenti bui e faticosi che però possono condurre alla nascita di una nuova versione di noi, più evoluta e consapevole. Attraversare il dolore per accedere a nuove lucide percezioni su noi stessi e il mondo.
Proprio come la crisalide deve apparentemente “morire” come bruco per poi risorgere splendida farfalla, ogni crisi nasconde la possibilità di far emergere potenzialità ancora assopite. Di partorire, non senza sofferenza, nuovi orizzonti interiori. Le crisi sono le occasioni propizie per esplorare territori sconosciuti del nostro essere e far affiorare preziose gemme di consapevolezza.
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