Il caffè centrale della mia città è vecchio
Il caffè centrale

Il caffè centrale del mio paese…

Il Caffè centrale del mio paese. Un vecchio Caffè di una qualsiasi città di provincia…

Il Caffè Centrale del mio paese è quasi come tutti i Caffè Centrale di una piccola cittadina di provincia. E’ vecchio. Finti marmi pregiati e stucchi, finto bancone di mogano e finto sorriso del barman, solitamente “frustrato”. Essi scimmiottano, il Grande bar caffetteria della grande città. Il locale per eccellenza, quell’essere mitologico verso cui tenderebbe ogni Caffè Centrale della periferia.

Con questo giudizio, forse fin troppo acido ero entrato, di buona mattina, già immaginando tra le labbra il sapore carbonico di quel solito infuso nero, passato in filtri troppo sporchi per renderlo realmente bevibile. Liquido, fortunatamente, carico di quella preziosa dose di caffeina che il corpo ricerca con avidità ogni mattino presto. Quella botta ai neuroni che ti pompa ansie accademiche a mille e ti devasta lo stomaco in torrenti di acidità a cui la pavida “merendina” ingerita poco prima, non può fare sicuramente scudo.

Decido, di farne un po’ a meno oggi. “Un espresso decaffeinato…” segnalo, quindi, al barman, il quale al primo ordine, diverso, dal classico espresso sparato con una botta sorda sulla leva della macchinetta, perde il suo sorriso posticcio. Un signore sulla cinquantina, chino sul suo cappuccino giallognolo, si gira e con fare sornione commenta la mia scelta con un “te-teee!…”.

Il decaffeinato, in un bar di vecchi e vaccinati avventori come il Caffè Centrale, è roba troppo astrusa. Al massimo, va bene per i malati di cuore. 

Ignoro, e spruzzo una dose di zucchero di canna nella ‘tazzulella’ ripiena di liquame nero, con lievi sfumature di marroncino, sorseggio, e nel mentre, il mio sguardo viene attirato oltre il Barman, verso quel reame luccicante e colorato, ma spesso intonso che è rappresentato dal bancone dei liquori. Come in ogni Caffè Centrale, la selezione dei liquori è solitamente ricercata, di classe. Le varie bottiglie presenti, alcune anche di nomi altisonanti, come Tanquerray London Dry, Bombay Sapphire, ed esotici come Midori, Kahlua, non sono mai state aperte. Soltanto una vitrea sambuca ed una grappa scura mostrano segni di mancanza di liquido, di uso recente. Tutto il resto è vecchio e tale rimarrà, ipotizzo.

Molta roba è vecchia, nel Caffè Centrale. Gli avventori, che ricordano e discutono ancora di vecchie glorie del calcio che fu o che non sarà mai. Gli arrugginiti trofei, degli innumerevoli tornei di biliardo che non ho mai visto disputare, nella mia breve vita. La sala da biliardo, con quei tavoli verdognoli impregnati da un aroma stantio di sigari toscani, estinti prima della normativa sul fumo del 2003. Il Caffè Centrale, con le sue confezioni regalo di liquore “Strega”, ancora, nelle loro caratteristiche, bottiglie, divenute di colore paglierino. Un vissuto di decenni nelle vetrine a tenere compagnia ai biscotti danesi, non si lascia trascinare dalla modernità, né tradisce la clientela, che con lui è cresciuta. 

Il Caffe Centrale è in fase terminale, ma al proprietario non sembra interessare. Posti ideali, per giovani nel mio paese, dove farsi un Aperitivo spritz con le patatine al pomodoro e le noccioline, ce n’é oramai dappertutto.

Finisco la tazzina, butto giù l’acqua minerale, gusto cloro, gentilmente offertami dal locale, e con gesto deciso metto giù i pochi spicci della transazione, riesco a mormorare un “grazie mille” ed a sentire il flebile “stàteve buòn del barman.

Esco, ed il Caffè Centrale mi manca già.

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